Altro che mandarlo a casa

Non solo legge elettorale. La pax bersaniana tra teatro, cazzotti e realtà

Claudio Cerasa

Al di là della comica storia dei cazzotti e al di là delle piccole e grandi polemiche sulla revisione dell’articolo 18, i segnali che arrivano dal complicato mondo del centrosinistra indicano che il Partito democratico è ormai entrato in nuova fase che potremmo definire con l’espressione di “pax bersaniana”. Nel Pd, è vero, c’è anche chi ironizza sul modo teatrale con cui da un po’ di tempo a questa parte Bersani, da perfetto segretario di lotta e di governo, si rivolge ai tecnici montiani.

    Al di là della comica storia dei cazzotti e al di là delle piccole e grandi polemiche sulla revisione dell’articolo 18, i segnali che arrivano dal complicato mondo del centrosinistra indicano che il Partito democratico è ormai entrato in nuova fase che potremmo definire con l’espressione di “pax bersaniana”. Nel Pd, è vero, c’è anche chi ironizza sul modo teatrale con cui da un po’ di tempo a questa parte Bersani, da perfetto segretario di lotta e di governo, si rivolge ai tecnici montiani (“A volte – racconta un dirigente pd – Pier Luigi ricorda il Mario Brega di ‘Bianco, rosso e Verdone’, quello che continuamente, e con poca convinzione, minacciava i suoi interlocutori con il famoso ‘Sta mano pò esse fero e pò esse piuma: e stavorta è stata piuma’”). Ironie a parte, però, la verità è che mai come in questo momento tra i principali volti del partito esiste una convergenza su alcuni importanti dossier che non riguardano la sola attività di governo. Chiaramente, alla base della pax vi è la necessità di presentarsi compatti in vista delle amministrative (che, sondaggi alla mano, rischiano di essere un disastro per il centrodestra). Ma oltre alla tattica elettorale sono due le ragioni che hanno contribuito a creare questo nuovo clima nel Pd. La prima riguarda il tema al centro della direzione di lunedì, ed è l’atteggiamento scelto da Bersani sulla riforma del mercato del lavoro (nonostante le sensibilità diverse, il segretario, forte anche del fatto che la riforma arriverà in Aula dopo le amministrative, ha ricompattato il partito richiedendo a tutti di vigilare senza sconti sul capitolo dei licenziamenti per ragioni economiche). Il secondo ingrediente della pax riguarda invece l’annunciata riforma elettorale; che, così come è stata formulata in questi giorni, ha eccitato più o meno tutti i principali volti del Pd tranne gli ipermaggioritari e gli iperprodiani alla Rosy Bindi e all’Arturo Parisi (consapevoli che una legge priva di premio di coalizione non soltanto rischia di essere “la tomba del bipolarismo” ma rischia anche di complicare, soprattutto per Romano Prodi, i giochi per la presidenza della Repubblica).

    Apparentemente, dunque, il vento sembrerebbe soffiare forte nelle vele del Pd. Ma come spesso capita quando si parla di centrosinistra le questioni sono più complicate di quanto potrebbero apparire. E a guardar bene, in effetti, sono almeno due le questioni esplosive che il segretario rischia di ritrovarsi tra le mani nei prossimi mesi. La prima è legata al tentativo di contenere le pulsioni anti montiane che arrivano dalla base del Pd. Bersani, che da qualche settimana riceve periodicamente sulla sua posta elettronica e-mail di protesta inviate da diversi circoli del Pd in cui si chiede al segretario di non votare più la fiducia al governo, è convinto di poter indossare ancora a lungo i panni del Gran mediatore; e sostiene di avere la forza sia per tenere gli scetticomontiani lontani da tutti coloro che sostengono che “il governo Monti non merita di vivere e che deve essere mandato a casa” (ieri lo ha detto Vendola); sia per evitare che si ripetano manifestazioni di dissenso come quella che vi è stata ieri da parte del senatore Ignazio Marino (che in polemica col governo ha scelto di lanciare un “messaggio politico forte” rifiutandosi di votare al Senato la fiducia sul dl semplificazioni). L’altra questione non secondaria riguarda un appuntamento importante previsto per il 30 aprile. Entro quella data, infatti, il governo dovrà presentare alla commissione europea il suo Piano nazionale per le riforme (il Pnr) e da qualche giorno a questa parte le due anime del Pd, in segreto, si stanno confrontando su quale sia la ricetta giusta da suggerire al governo.

    In estrema sintesi, i montiani chiedono di offrire al premier un Pnr incentrato sulla crescita e rispettoso degli accordi presi con l’Europa; gli iper camussiani chiedono invece di ribellarsi “al governo delle destre” e di cogliere l’occasione per rimettere in discussione il famoso Fiscal compact. Anche di questo hanno parlato la scorsa settimana in una riunione a porte chiuse i principali volti economici del Pd. La riunione, convocata da Stefano Fassina, si è conclusa però con un piccolo giallo. Il responsabile Economia del Pd aveva annunciato che sul Pnr avrebbe presentato un suo documento. Il documento era pronto. Bersani però, dopo essersi consultato con alcuni montiani, ha chiesto di non andare oltre e di ritirarlo subito. Si tratta del primo passo indietro chiesto da Bersani a Fassina. E nel Pd i più maliziosi sospettano che non sarà neppure l’ultimo.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.