Rivelazioni incrociate
Nell'affaire tra Merah e i servizi francesi spunta l'agente reclutatore “B”
“Un agente francese di origine maghrebina aveva reclutato Mohammed Merah nei servizi segreti”, è il titolo dell’edizione domenicale del quotidiano algerino el Khabar. “Informazioni ottenute da fonti concordanti indicano l’esistenza di un legame tra lui e un agente attivo della Dcri (Direction centrale du renseignement intérieur)”. Il reclutatore parla anche arabo ed è conosciuto, aggiunge il giornale, soltanto con l’iniziale “B”.
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“Un agente francese di origine maghrebina aveva reclutato Mohammed Merah nei servizi segreti”, è il titolo dell’edizione domenicale del quotidiano algerino el Khabar. “Informazioni ottenute da fonti concordanti indicano l’esistenza di un legame tra lui e un agente attivo della Dcri (Direction centrale du renseignement intérieur)”. Il reclutatore parla anche arabo ed è conosciuto, aggiunge il giornale, soltanto con l’iniziale “B”. Dopo la morte di Merah sarebbe stato spostato dalla sezione di Tolosa dove lavorava a un’altra assegnazione altrove, in modo da evitare la troppa pressione nella città dello stragista.
El Khabar, “La notizia”, è il secondo quotidiano del paese ed è indipendente, di proprietà di un gruppo di giornalisti, una posizione che talvolta lo ha portato in rotta di collisione sia con il governo di Algeri sia con i gruppi islamisti. Le sue fonti sono diverse da quelle del Foglio, che sostiene ugualmente, con una serie di articoli cominciata 10 giorni fa, che il francese assassino in nome di al Qaida, Mohammed Merah, è stato anche informatore della Dcri.
Il giornale scrive che gli uomini dell’unità speciale della polizia francese, il Raid, dopo avere circondato l’appartamento di Merah a Tolosa, hanno provato a convincerlo alla resa facendolo parlare con la madre Zoulikha, con una sorella e appunto con l’agente di collegamento B ma che la reazione dell’assediato è stata rabbiosa. Quando B ha cominciato a parlare il 23enne di origini algerine ha risposto: “C’eri anche tu sulla lista” delle prossime uccisioni. I parenti della famiglia Merah dicono a el Khaber di “considerare come un fatto certo che lui fosse un informatore della Dcri, a cui erano state fatte promesse che però in seguito non sono state mantenute, e che quello che è accaduto dopo è stato il suo modo di vendicarsi”.
Il 15 luglio 2010, dopo essere stato respinto dalla Legione straniera, Merah compra con la sua carta di credito per 522 euro un biglietto della compagnia aerea ceca Csa Airlines da Parigi a Damasco. Per due mesi, tra luglio e settembre, vaga per il medio oriente: Siria, Libano, Giordania, Turchia, Iraq del nord.
A settembre, attraverso il passaggio alla frontiera di Allenby Gate, dalla Giordania entra in Israele, dove si trattiene pochi giorni prima di uscire dallo stesso posto di controllo. L’ordine dei paesi visitati conta: con un timbro israeliano sul passaporto non sarebbe potuto entrare in Siria e in Libano. Rientra a Parigi il 17 settembre, di nuovo con un biglietto Csa Airlines. Per poco: nel novembre 2010 vola verso Dushanbe, capitale del Tagikistan, Repubblica ex sovietica dell’Asia centrale che ha problemi con la guerriglia islamista ma che è soprattutto un punto d’accesso da nord all’Afghanistan, dove effettivamente Merah entra sabato 13 novembre. Lunedì 22 novembre è arrestato dagli afghani e consegnato agli americani a Kandahar, nel sud del paese. Trasferito in aereo a Kabul, torna in Francia domenica 5 dicembre, con un aereo che fa scalo a Dubai. E’ stato nelle mani degli americani e dei francesi in Afghanistan per quasi due settimane.
Nel 2011 parte di nuovo, terzo viaggio. Lo racconta Abu Qaqaa al Andalusi, un uomo del gruppo estremista pachistano Jund al Khilafah, “I soldati del Califfato”, in un messaggio appuntato due giorni fa su una bacheca Internet. E’ un messaggio in difesa di Merah, conosciuto in Pakistan con il nome di battaglia Yousuf al Faransi, Giuseppe il francese, contro le accuse di problemi psichiatrici. Yousuf – nella descrizione del compagno d’addestramento – era perfettamente sano, serio, sveglio, “colmo di amore per Allah e il Corano”. Sapeva usare alla perfezione il suo Apple Mac, con un sistema operativo Linux, e una fotocamera professionale Panasonic da 14 mega di definizione che poi ha lasciato ai mujaheddin. Sapeva come tagliare e montare i video. Aveva già tentato di entrare in contatto con i mujaheddin l’anno prima, conferma, ma era stato arrestato in Afghanistan, anche se era riuscito a scattare foto dei mezzi e delle basi americane da dentro il veicolo usato nei trasferimenti. Nell’agosto 2011 è atterrato a Islamabad e da lì finalmente, dopo avere incontrato i contatti giusti, è arrivato ai campi nella regione montagnosa del Waziristan. Parlava il francese con l’accento del sud e male l’arabo, tanto da fare amicizia con al Andalusi per farsi aiutare nelle traduzioni. Agli esplosivi preferiva l’uso delle armi da fuoco, a cui si addestrava con cura incessante. A metà ottobre 2011 il viaggio di rientro in Francia.
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