Calci paralleli

Stramaccioni e Sannino, il destino allena in Serie A

Sandro Bocchio

“Predestinato? Fortunato, piuttosto”. Ma uno, le proprie fortune, deve essere in grado di costruirsele. E quelle di Andrea Stramaccioni poggiano sulla sfortuna, su quel ginocchio che si spacca quando arriva a Bologna per diventare qualcuno nel calcio e che lo trasforma in precoce ex. Ma se si hanno le idee chiare, anche un evento negativo può trasformarsi in positivo.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Stramaccioni e Sannino.

    “Predestinato? Fortunato, piuttosto”. Ma uno, le proprie fortune, deve essere in grado di costruirsele. E quelle di Andrea Stramaccioni poggiano sulla sfortuna, su quel ginocchio che si spacca quando arriva a Bologna per diventare qualcuno nel calcio e che lo trasforma in precoce ex. Ma se si hanno le idee chiare, anche un evento negativo può trasformarsi in positivo. Stramaccioni le ha chiarissime. Diventa allenatore dei ragazzini, vince con le società di quartiere a Roma. Rosella Sensi lo chiama in giallorosso e lui continua a vincere. Il Mourinho dei giovani, voluto da tanti (compreso Arrigo Sacchi, che gli offre invano l'Under 17) sempre costretti ad arrendersi di fronte alla determinazione di chi non vuol lasciare la propria città e la propria squadra. Determinazione che non vuol dire ostinazione e Stramaccioni si congeda, quando vede che la strada verso la Primavera è sbarrata da Alberto De Rossi (campione d'Italia ma, soprattutto, padre di Daniele alle prese con il rinnovo del contratto...). La stessa traiettoria d'addio di Montella, ma con destinazione un altro settore giovanile, all'Inter. Presenza taumaturgica: i nerazzurri finiscono per dominare in ogni categoria e per vincere con la Primavera una manifestazione impropriamente definita Champions, ma di un prestigio tale da lenire le ferite di Moratti, che vola a Londra per vedere i ragazzi vincere e per convincersi che Stramaccioni sia l'uomo giusto, a soli 36 anni, per rimettere in ordine anche la prima squadra. Il successore di Ranieri lo fa con accortezza: motivando gente più anziana, dando fiducia a chi era considerato un reietto (Zarate) e cominciando a porre l'autocandidatura per il futuro. Di cui Moratti sarebbe ben felice: “Mi risolverebbe tanti problemi”.

    Rispetto a Stramaccioni, Giuseppe Sannino per debuttare in serie A ha dovuto aspettare molto – ma molto – di più, in una parabola professionale dettata dai passi della vita: il papà che lascia Ottaviano per andare a lavorare a Torino (Fiat, ovviamente) a fine Anni 60, una carriera da calciatore di provincia che potrebbe ispirare la creatività di Paolo Conte, un destino che si configura anonimo quando smette di giocare per diventare ausiliare dell'Asl a Voghera (“Misi tanta umiltà pulendo corsie, stanze e persino i cessi, per sfamare la famiglia”). Ma il calcio preme e se Stramaccioni è il maghetto dei giovani, Sannino si scopre invincibile in Lombardia, con quattro promozioni consecutive dal 2007 al 2010 e la serie A sfiorata a Varese, fino alla chiamata del Siena per prendere in estate il posto di Antonio Conte. Il tecnico cresciuto a pane e Sacchi scopre la serie A, andando in stadi “che avevo visto solo in tv”. Potrebbe imprecare contro quei raccomandati che gli hanno rubato il futuro, come fanno molti suoi lamentosi colleghi, Sannino ribatte che lo “stuzzicano molto le idee di Luis Enrique”, per l'appunto. Al Siena trova la squadra che piace a lui “umile e affamata”, ai tifosi e alla società regala un semifinale di coppa Italia persa contro il Napoli e una salvezza lontana oggi una manciata di punti. E a chi gli suggerisce eventuali recriminazioni per una carriera sbocciata tardi, lui ribatte che “il lavoro fa sempre la differenza: nulla è irraggiungibile”. Che, detto da uno di 54 anni, non è cosa da poco. Almeno in Italia.

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