Aiuto, c'è pure l'egg crunch
Non c’è solo l’ormai famoso credit crunch (la restrizione del credito alle imprese e a famiglie): la Pasqua in arrivo porta con sé anche un inedito “egg crunch”, una crisi europea dell’uovo. A febbraio infatti il prezzo delle uova di gallina è aumentato del 6 per cento, a 12,33 euro il centinaio. Ma rispetto al 2011, l’aumento è del 21 per cento in Italia. In Francia le cose vanno anche peggio: i prezzi sono saliti da 9 euro di inizio anno a 13 euro, e rispetto ai 5 euro di un anno fa.
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Non c’è solo l’ormai famoso credit crunch (la restrizione del credito alle imprese e a famiglie): la Pasqua in arrivo porta con sé anche un inedito “egg crunch”, una crisi europea dell’uovo. A febbraio infatti il prezzo delle uova di gallina è aumentato del 6 per cento, a 12,33 euro il centinaio. Ma rispetto al 2011, l’aumento è del 21 per cento in Italia. In Francia le cose vanno anche peggio: i prezzi sono saliti da 9 euro di inizio anno a 13 euro, e rispetto ai 5 euro di un anno fa. E a livello europeo, i prezzi sono saliti del 55 per cento dal marzo 2011 a oggi. Nel frattempo, la produzione registra un forte rallentamento: secondo la Commissione europea, nei 27 paesi dell’Ue la produzione dovrebbe calare del 2,5 per cento quest’anno. Ma la European Egg Processors Association mostra dati più pesanti, e sostiene che la produzione europea da inizio anno è calata del 10-15 per cento, pari a circa 200 milioni di uova. Per il periodo pasquale – picco dei consumi sia per l’industria alimentare che per le famiglie – potrebbero esserci seri problemi: basti pensare che secondo la Confederazione italiana degli agricoltori, gli italiani spenderanno circa 135 milioni di euro e consumeranno più di otto uova a testa, concentrando così in una sola settimana quasi il 4 per cento del consumo annuale, che si aggira intorno ai 13 miliardi di pezzi, cioè una media di 218 uova a persona, pari a 13,7 chili.
Il tema dell’egg crunch è stato al centro dei lavori della International Egg Commission (Iec), la confindustria internazionale del settore, che si sono svolti a Venezia dal 25 al 27 marzo. Philip van Bosstraeten, rappresentante di Ovobel, ha detto che “è tutto un tentare di organizzare importazioni da paesi extra Ue” per sostituire la carenza di uova europee. La causa dell’egg crunch non è misteriosa, anche se qualcuno già avanza teorie, come il presidente della Repubblica ceca Václav Klaus secondo cui “sappiamo tutti che variazioni così massicce dei prezzi non avvengono in una normale economia di mercato. Succedono solo quando ci sono manipolazioni”. In realtà, a causare la contrazione è la riforma del welfare delle galline da parte della stessa Unione europea.
Dal 3 gennaio 2012 è infatti entrata in vigore la Direttiva 74 del 1999, che manda in pensione la vecchia “batteria”, cioè l’allevamento massificato, per introdurre nuove misure che prevedono che ogni animale abbia uno spazio sufficiente al suo benessere. In particolare, la direttiva prevede che ogni gallina debba godere di almeno 550 centimetri quadrati, “misurati su un piano orizzontale e utilizzabile senza limitazioni”. La mangiatoia dovrà essere “utilizzabile senza limitazioni, di una lunghezza minima di 10 cm moltiplicata per il numero di galline ovaiole nella gabbia; possedere “abbeveratoi o tettarelle o coppette” per placare la sete; le gabbie devono “avere un’altezza minima non inferiore a 40 cm per il 65 per cento della superficie e non inferiore, in ogni punto, a 35 cm”; ed “essere dotate di pavimento che sostenga adeguatamente ciascuna delle unghie anteriori di ciascuna zampa”.
Un testo considerato molto nobile da parte delle associazioni animaliste (su Facebook c’è anche un gruppo dedicato alla direttiva salva-ovaiole) ma che entra in vigore proprio nel momento in cui l’Europa aumenta gli sforzi per restringere il welfare umano: come ha detto il 22 marzo il governatore della Bce Mario Draghi, “un welfare superato”. E ancora ieri, la Commissione di Bruxelles, commentando i dati sulla disoccupazione record, è tornata a chiedere riforme strutturali e maggior flessibilità.
Migliorare il welfare delle galline, poi, al di là degli intenti umanitari, non è detto che porti sviluppo, anzi. La direttiva, che è di 12 anni fa (ma che è entrata in vigore solo il 3 gennaio di quest’anno, consentendo agli allevatori 12 anni di tempo per adeguare le proprie strutture, cosa che in pochissimi hanno fatto) dovrebbe costare agli agricoltori europei almeno 5 miliardi di euro, con extra costi del 10-20 per cento.
Gli agricoltori non sono per niente contenti, e in molti hanno deciso di uscire dal mercato. Anche perché “è assurdo che l’Ue abbia imposto un divieto sui suoi produttori, che è costato loro più di 5 miliardi di euro, ma non lo abbia fatto per le importazioni”, ha dichiarato il segretario generale del Copa Cogeca, la confindustria europea degli agricoltori, Pekka Pesonen. “In seguito a questo divieto i prezzi sono aumentati e i produttori hanno dovuto o ridurre il patrimonio zootecnico nel breve termine per avere il tempo di adattarsi alle nuove norme e ai nuovi costi, oppure cessare la loro produzione”, ha detto Pesonen. “Ora l’industria sta cercando di aumentare le importazioni, che non devono rispettare le stesse norme”. Il presidente del gruppo di lavoro “Uova e pollame” di Copa Cogeca, Eugene Schaeffer, suggerisce che le stesse norme applicate all’Ue siano estese anche all’import. Un appello che però potrebbe trovare ostacoli negli accordi internazionali sul commercio.
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