Tra Super Pac e nuove vittorie, Romney pensa al vice
I Super Pac sono il più grande elemento di democrazia nelle primarie repubblicane in corso negli Stati Uniti. Grazie alle donazioni di facoltosi magnati e imprenditori, la gara in casa del Grand Old Party è viva e intensa, anche se tutto fa pensare che alla fine sarà Mitt Romney ad avere la meglio sugli avversari. Ne è convinto Ross Douthat, che sul New York Times celebra le virtù dei Super pac.
I Super Pac sono il più grande elemento di democrazia nelle primarie repubblicane in corso negli Stati Uniti. Grazie alle donazioni di facoltosi magnati e imprenditori, la gara in casa del Grand Old Party è viva e intensa, anche se tutto fa pensare che alla fine sarà Mitt Romney ad avere la meglio sugli avversari. Ne è convinto Ross Douthat, che sul New York Times celebra le virtù dei Super pac. Senza le generose donazioni del miliardario proprietario di casinò Sheldon Adelson, Newt Gingrich non sarebbe mai riuscito a vincere in South Carolina, risalendo in maniera quasi miracolosa sondaggi che fino a otto giorni prima del voto lo davano dietro Romney. La stessa cosa vale per Rick Santorum, ancora in gara potendo contare sull’aiuto economico di Friess Foster. L’ex governatore del Massachusetts ha conquistato stati incerti come Florida, Michigan e Ohio attingendo all’immenso patrimonio personale, organizzando martellanti campagne di spot televisivi una volta contro Gingrich, un’altra contro Santorum. Ma è grazie a importanti finanziatori che la stagione delle primarie non si è chiusa dopo i primi appuntamenti di gennaio e febbraio.
Dopo la triplice vittoria in Wisconsin, Maryland e Distretto di Columbia, la sfida in campo repubblicano sembra ormai chiusa a favore di Romney. Si avvicina quindi il momento di pensare al ticket da contrapporre alla coppia Obama-Biden. Sul New York Magazine, John Heilemann sottolinea che il milionario mormone è debole: non solo perché sfiancato da una lotta lunga e dura nel partito, ma anche perché il suo appeal nell’elettorato femminile e ispanico è decisamente basso. Servirebbe un game-changer, una personalità fuori dagli schemi in grado di cambiare le dinamiche elettorali. Una soluzione che però i repubblicani hanno già sperimentato quattro anni fa, quando John McCain puntò su Sarah Palin, giovane governatore dell’Alaska, per svecchiare la sua immagine di anziano veterano del Vietnam frequentatore del Congresso da un quarto di secolo. Le cose, come è noto, non andarono bene. I nomi sui quali la squadra di Romney sta riflettendo sono molti, ognuno dei quali avrebbe il merito di portare benefici alla candidatura dell’ex governatore del Massachusetts. Da Paul Ryan a Rob Portman (senatore dell’Ohio), da Marco Rubio al governatore della Louisiana Bobby Jindal. Romney, però, sarebbe tentato soprattutto da due figure: il governatore del New Mexico Susana Martinez e quello del Nevada Brian Sandoval. Entrambi provengono da stati-chiave che potrebbero decidere chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca. Martinez aiuterebbe Romney a recuperare terreno tra le donne e gli ispanici, mentre Sandoval (con il suo passato di giudice federale) darebbe spessore al ticket. Il problema è la scarsa esperienza di entrambi sulle grandi questioni nazionali: lo spettro di una nuova Sarah Palin assilla i vertici del partito. L’unica certezza è che dovrà essere meno moderato e meno centrista di quanto lo sia Romney. Le scorie di un partito lacerato si faranno sentire anche a Tampa.
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