O la va, o la si spacca

La complicata guerra di Maroni per prendersi la Lega, ma salvando Bossi

Salvatore Merlo

 

Adesso Roberto Maroni vorrebbe completare la presa del potere, vuole un congresso federale urgente. Ma nel partito la guerra è guerreggiata, gli avversari interni non sono intenzionati ad arrendersi così facilmente.

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    Adesso Roberto Maroni vorrebbe completare la presa del potere, vuole un congresso federale urgente. Ma nel partito la guerra è guerreggiata, gli avversari interni non sono intenzionati ad arrendersi così facilmente. Rosi Mauro, Marco Reguzzoni, Roberto Calderoli e Maroni ieri sono rimasti chiusi per ore nella sede del partito in Via Bellerio, una riunione lunghissima, tesa, che non si è sciolta nemmeno quando Umberto Bossi, stanco, ha lasciato il quartier generale. Hanno continuato senza di lui, per ore. Il rischio concreto è quello di una deflagrante scissione. “A Umberto noi leghisti crediamo e continueremo a credere ma è il tempo che boiardi e traditori vadano fuori dai coglioni. Per fare questo occorre un congresso federale che decreti le espulsioni di chi ha imbrogliato”. Il linguaggio di Erminio Boso, leghista anziano, tra i fondatori del partito, è greve; ma è una linea politica molto precisa. Boso non lo dice, ma ha parlato con Maroni, ed è questo il piano d’azione che gli ha trasmesso “Bobo”: dobbiamo ottenere al massimo entro l’autunno un congresso federale per sostituire gli uomini del “cerchio magico” e dobbiamo riuscirci, se possibile, senza rompere con Bossi. E non è cosa facile. Maroni considera concreto il rischio che la Lega si sfasci. Sa bene che le sue dure critiche di martedì hanno toccato “la famiglia”, e sa che questo non gli sarà perdonato. Ma per Maroni è il momento delle decisioni irrevocabili, ora o mai più: l’intervento della magistratura, con le tre inchieste che coinvolgono l’ex tesoriere Francesco Belsito, membro organico del gruppo a lui avversario (il cosiddetto “cerchio magico”), gli ha consegnato una netta vittoria sul campo che va sfruttata, e subito. Oggi ci sarà una prima conta interna al consiglio federale, si deve decidere il nome del nuovo tesoriere. Il candidato di Maroni è Bruno Caparini, vecchio leghista molto rispettato dalla base, un uomo che si è avvicinato alla corrente maroniana ma ha pure un solido rapporto con il capo carismatico. Maroni vuole cancellare il cerchio magico e monumentalizzare Bossi. Ma è possibile?

    La magistratura, con le sue inchieste, si è inserita in maniera determinante nella lunga lotta per il potere interna alla Lega. Le procure di Milano, Napoli e Reggio Calabria sono riuscite a centrare l’obiettivo che Maroni, malgrado la sua forza crescente, non sembrava più in grado di ottenere: la rapida eliminazione degli storici avversari del cerchio magico, la delegittimazione del gruppo tribale e familistico che dai tempi della malattia del grande Capo frequenta casa Bossi. Maroni non lo dirà mai, ma lo considera il suo secondo colpo di fortuna. Il primo è stato l’analisi errata che Bossi e Silvio Berlusconi hanno fatto a quattr’occhi l’11 gennaio scorso, alla vigilia del voto della Camera sulla richiesta di carcerazione per Nicola Cosentino. In quell’occasione il Cavaliere promise molto al leader leghista, ed entrambi uscirono convinti che il governo tecnico non sarebbe durato fino al 2013, ma che ci sarebbero state le elezioni anticipate. E’ stato in quel momento che Maroni ha ottenuto il via libera ai congressi, che ha poi vinto sistematicamente sul territorio. Il gruppo dirigente della Lega a lui ostile pensava di poter anestetizzare le sue vittorie congressuali: “Le liste sono bloccate, i candidati li scegliamo noi e l’ambizione di Maroni morirà lì. Eleggiamo solo i nostri”. Ma non è andata così, Monti non è caduto, l’appoggio del Cavaliere al professore si è fatto anzi solidissimo, e intanto Maroni ha occupato posti chiave nel partito. Vittorie tuttavia che solo l’intervento della magistratura adesso rende preziose per il possibile trionfo: un congresso federale entro l’estate, al massimo in autunno. Il dubbio è che non glielo facciano fare, e allora non resterebbe che dividersi. Ma forse sarebbe la fine della Lega, già inchiodata dai sondaggi all’8 per cento.

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    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.