L'ultimo atto di Bossi a via Bellerio tra grida, lacrime e traditori

Cristina Giudici

Che il vecchio Capo, anziano e malato, sarebbe stato crocefisso come Gesù, con un giorno di anticipo, lo si è capito subito, ieri. Fin dalle prime ore del pomeriggio, quando il cattolicissimo Giuseppe Leoni, che con Bossi ha fondato la Lega, ha riunito un pugno di pretoriani, raccolti in una strana veglia in via Bellerio, per  scandire il suo nome: “Bossi, Bossi, Bossi”.

    Che il vecchio Capo, anziano e malato, sarebbe stato crocefisso come Gesù, con un giorno di anticipo, lo si è capito subito, ieri. Fin dalle prime ore del pomeriggio, quando il cattolicissimo Giuseppe Leoni, che con Bossi ha fondato la Lega, ha riunito un pugno di pretoriani, raccolti in una strana veglia in via Bellerio, per  scandire il suo nome: “Bossi, Bossi, Bossi”. Bossi però ha chinato la testa, ha accettato il suo martirio e  rassegnato le dimissioni: “Lo faccio per il bene del mio movimento”, ha dichiarato davanti a un Consiglio federale riunitosi, ufficialmente, per nominare il sostituto del tesoriere Francesco Belsito. Una decisione che ha suscitato commozione e applausi, dicono i leghisti che erano presenti e hanno recitato la loro parte fino in fondo in questa tragedia shakespeariana in salsa padana.

    Il vecchio Capo è stato nominato presidente federale del Carroccio e ha dato via libera alla costituzione di un triumvirato, formato da Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuela Dal Lago, parlamentare vicentina. In attesa di un congresso federale che si terrà in autunno per eleggere un nuovo Re per il regno infangato dallo scandalo sull’abuso famigliare dei finanziamenti pubblici. Una situazione analoga, in parte, a quella che si venne a creare quando Bossi cadde la prima volta, nel 2004, trafitto, allora, da un ictus. Un dramma lacerante e umano, prima ancora che politico. Che tutto sia rapidamente cambiato lo si capisce anche perché Bruno Caparini – che per molti anni gli ha offerto il suo feudo, il piccolo castello su a Ponte di Legno dove a Ferragosto il Senatùr riceveva il suo popolo –, era uscito dal bunker di via Bellerio per dire ai cronisti in attesa che era giunta l’ora: “Bossi deve fare un passo indietro e lasciare a Maroni il compito di traghettare la Lega verso un nuovo futuro”, ha detto, perentorio. Religione, mitologia, dramma e anche un po’ di soap opera. C’era tutto questo ieri in via Bellerio, dove il movimento padano si è trovato di colpo orfano, dopo vent’anni. E poi le leggende.

    Tante leggende, che si sono accavallate e inseguite nella notte precedente alle dimissioni. Come quella che racconta di un Bossi che due giorni fa ha lasciato via Bellerio, bianco in volto, dopo aver capito l’entità delle accuse che coinvolgono la sua famiglia, precipitandosi a Gemonio per fare una sfuriata a sua moglie, la Manuela, chiedendole di incontrare Bobo Maroni per ottenere una sinecura per i figli. Sconvolto dallo sfogo di Calderoli che urlava: “Non hai capito che abbiamo dovuto comprargli una  laurea a tuo figlio?”. Chissà se è vero, se è andata davvero così, alla vigilia della resa del Capo. Perché negli ambienti leghisti circola un’altra  versione della storia, che descrive un Bossi furioso con Maroni, che avrebbe ordito il complotto quando ancora era al Viminale. E sapendo degli intrighi di corte aveva lasciato che il cerchio magico si suicidasse, per poi farsi avanti come salvatore della patria padana. Un retroscena, questo, che offende i maroniani, sicuri della buona fede di Maroni.

    Ufficialmente le cose sono andate così: ieri Maroni, commosso, avrebbe detto a Bossi: “Se ti candidi ancora come segretario federale, io ti sosterrò”, mentre fuori in via Bellerio il piccolo gruppo di pretoriani urlava all’ex ministro dell’Interno “traditore”, distribuendo volantini sui quali Maroni era ritratto come Fini e come Giuda.
    Cosa succederà ora? Nessuno può cantare vittoria. Nominato il nuovo tesoriere, Stefano Stefani, uno della vecchia guardia, richiamato in servizio a 73 anni per affrontare le delicata situazione finanziaria del partito, a Maroni – l’uomo che detiene il pacchetto di maggioranza politico del partito, nonostante la coabitazione in un triumvirato provvisorio – ora spetta un compito da far tremare i polsi. Sostituire il re malato e rifare da capo la Lega.