“We do God”. Cameron si fa leader di un contrattacco cristiano
“Ma chi crede di essere, l’arcivescovo di Canterbury?”. Così ha reagito un lettore del Times ieri quando ha letto che il premier, David Cameron, aveva appena fatto circolare un “messaggio pasquale” – un inedito assoluto. Negli ultimi tre secoli a Downing Street è sempre andato un anglicano (o nel caso della Thatcher, metodista) più o meno praticante, ma è la prima volta che un primo ministro si identifica così con la propria fede. Alastair Campbell, attento spin doctor di Tony Blair, aveva cercato di ridurre il potenziale effetto (negativo) della forte fede del capo con la laconica e famosa dichiarazione: “We don’t do God”.
“Ma chi crede di essere, l’arcivescovo di Canterbury?”. Così ha reagito un lettore del Times ieri quando ha letto che il premier, David Cameron, aveva appena fatto circolare un “messaggio pasquale” – un inedito assoluto. Negli ultimi tre secoli a Downing Street è sempre andato un anglicano (o nel caso della Thatcher, metodista) più o meno praticante, ma è la prima volta che un primo ministro si identifica così con la propria fede. Alastair Campbell, attento spin doctor di Tony Blair, aveva cercato di ridurre il potenziale effetto (negativo) della forte fede del capo con la laconica e famosa dichiarazione: “We don’t do God”. Ora David Cameron ha deciso di andare laddove “the Angels fear to tread”, gli angeli non osano mettere piede.
Riferendosi a una lunga serie di casi legali condotti a diversi livelli nel sistema giuridico inglese spesso a favore “dei diritti umani” (cioè: contro la centralità dei valori cristiani), il premier 46enne ha perorato la causa di quei cristiani che vogliono mantenere la tradizione di recitare le preghiere all’inizio delle riunioni delle amministrazioni locali e nazionali, e il diritto degli impiegati pubblici di portare un crocefisso sul lavoro. “C’è un contrattacco cristiano in diversi contesti pubblici contro quelle forze che ci vorrebbero azzittire. Il più forte bisogno che abbiamo in questo paese è di attenerci a valori etici forti, e di educare i nostri figli in questo senso. I valori della Bibbia e del cristianesimo sono i valori di cui abbiamo maggiore necessità: compassione, rispetto reciproco, responsabilità individuale delle nostre azioni, e tolleranza”, ha detto Cameron. “Non è obbligatorio essere cristiani – ha aggiunto – e nemmeno credenti per avere valori forti, ma ‘it helps’, aiuta”.
Il premier ha parlato a una riunione di capi cristiani invitati a Downing Street per “celebrare l’arrivo della Santa Pasqua” e ascoltare il discorso calibrato del premier, che voleva dare enfasi alla sua fede – “debole e un po’ distratta, ma comunque presente” – e rassicurare le chiese che la politica socialmente progressista della coalizione di governo a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso non vuole metterli in difficoltà né obbligare i sacerdoti a celebrare i “gay marriages” nei loro luoghi di culto. Parecchi leader religiosi hanno criticato le azioni del governo, sia “da sinistra” (a causa dell’austerità fiscale che a loro parere colpisce eccessivamente i più poveri) sia “da destra”, contro l’iniziativa pro gay. Così Cameron ha scelto una strategia spericolata: mettere in risalto il fatto che lui, a differenza del suo collega di governo, il liberaldemocratico Nick Clegg, e del capo dell opposizione, il laburista Ed Miliband, è un leader cristiano.
Bisogna vedere, come chiosa un ultrascettico Guardian, se l’elettorato (secondo le statistiche, un buon 57 per cento è battezzato ma, secondo il capo degli atei militanti britannici, lo scienziato Richard Dawkins, “soltanto una esile minoranza ci crede sul serio”) gli crede o interpreta le sue parole come una mossa disperata di un governo in crisi, come ha suggerito lo stesso Cameron, ironico: “In questo periodo ho bisogno che qualcuno preghi per me”.
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