La roulette dell'art. 18
Camusso si smarca dalla Fiom e loda il compromesso sul lavoro
Fiom e Confindustria per una volta sono uniti: la riforma Fornero-Monti del mercato del lavoro non va. Ma per ragioni opposte: il nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è troppo liberista per la Fiom di Maurizio Landini. No, è troppo timido rispetto alla prima versione del governo, secondo Confindustria della presidente uscente Emma Marcegaglia.
Fiom e Confindustria per una volta sono uniti: la riforma Fornero-Monti del mercato del lavoro non va. Ma per ragioni opposte: il nuovo articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è troppo liberista per la Fiom di Maurizio Landini. No, è troppo timido rispetto alla prima versione del governo, secondo Confindustria della presidente uscente Emma Marcegaglia.
A sintetizzare la diatriba è Gianni Rinaldini, già leader della Fiom: “Il reintegro da regola diventa eccezione”. “In questo paese – aggiunge Rinaldini – dalla legge 300 in poi, se un lavoratore viene licenziato illegittimamente è reintegrato nel suo posto di lavoro con sentenza del giudice”. Con “un provvedimento abile – secondo l’ex leader della Fiom-Cgil – il governo Monti ha trasformato quella che era una regola universale in un artificio in virtù del quale il risarcimento economico diventa la regola fondamentale e il reintegro nel posto di lavoro l’eccezione”. Questo è l’effetto, secondo Rinaldini, “di aver spacchettato le motivazioni del licenziamento in disciplinare, discriminatorio, economico per cancellare il principio di fondo che tutela, o meglio tutelava, i lavoratori: un licenziamento o è legittimo o non lo è”.
Per questo Rinaldini critica, da leader della corrente di minoranza (“la Cgil che vogliamo”) la decisione della segreteria della confederazione guidata da Susanna Camusso di giudicare in maniera non negativa il testo finale del disegno di legge governativo: “La riconquista dello strumento del reintegro nel caso di licenziamenti economici insussistenti è un risultato positivo che ripristina un principio di civiltà giuridica”. Beninteso, la Cgil intende proseguire nella mobilitazione, non escluso ma da ridiscutere lo sciopero generale, come spinta al Parlamento per migliorare il provvedimento specie su precarietà e ammortizzatori, e comunque mette per iscritto che “il permanere dell’onere della prova sull’impresa” e “il ruolo del sindacato nella conciliazione” di fatto “ricostituiscono il potere di deterrenza dell’art. 18 e scongiurano la pratica dei licenziamenti facili a indennizzo economico che governo e Confindustria intendevano introdurre”.
La posizione della Cgil non convince né la Fiom di Maurizio Landini (“articolo 18 svuotato”) né la Confindustria. Il presidente Marcegaglia, pur non essendosi distinta particolarmente negli ultimi mesi nel chiedere una maggiore e netta flessibilità in uscita, ieri al Financial Times ha detto: “Riforma del lavoro? Very bad”. “Alla fine – ha spiegato il presidente uscente degli industriali, ipotizzando che molte imprese potrebbero non rinnovare i contratti – questa riforma non risolve il problema della flessibilità in uscita, ma soprattutto aumenta molto più di quello che ci era stato descritto la rigidità in entrata”. Una linea condivisa, sul versante politico, dal Pdl. Tanto che, dopo un primo assenso positivo del segretario Angelino Alfano due sere fa a “Porta a Porta”, il Pdl su impulso in particolare dei capigruppo Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, si è attestato su questa linea, esplicitata ieri sera da Alfano: “Opereremo per modifiche e miglioramenti per venire incontro alle imprese”, rappresentate anche da Rete Imprese Italia.
Una mossa, quella del Pdl, per evitare che il Pd con Pier Luigi Bersani si possa intestare il merito di aver modificato nel senso gradito alla Cgil la parte sui licenziamenti, prevedendo il reintegro nel caso di licenziamenti manifestamente insussistenti nelle ragioni economiche.
Eppure anche Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd che ha spronato nelle scorse settimane parti sociali, partiti e governo a incidere sull’articolo 18, ieri ha elogiato la riforma, anche se si aspettava di meglio: “Il prezzo dell’accordo in extremis tra i due partiti maggiori della maggioranza è consistito in una ulteriore “riduzione bilanciata” dell’incisività della riforma. Sul versante dell’articolo 18, si è riavvicinata la nuova disciplina alla vecchia, ripristinando la possibilità di reintegrazione del lavoratore, a discrezione del giudice, nel caso di licenziamento economico”. Sul contrasto all’abuso delle collaborazioni autonome, “si è rinviata di un anno l’entrata in vigore della nuova disciplina restrittiva”. Conclusione di Ichino: “Il disegno di legge resta comunque un passo avanti nella direzione giusta; ma è un passo più piccolo di quel che si era sperato e che sarebbe stato possibile”.
A rassicurare indirettamente Ichino e Marcegaglia è stato il premier Mario Monti: “Le imprese sono insoddisfatte perché avrebbero voluto la sparizione complessiva della parola reintegro dal panorama: credo che nel tempo considereranno che la permanenza di questa parola è riferita a fattispecie estreme e improbabili”.
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