L'unico “amiainsaputa” possibile è di Bossi

Annalena Benini

Di tutte le insapute esistenti e portate in giro come nuovo manifesto esistenziale privo di senso del ridicolo (case al Colosseo, a Montecarlo, vacanze, alberghi, denari, donne, conti pagati)  l’unico “amiainsaputa” possibile è quello di Umberto Bossi, che si è dimesso ringhiando “Io non le so queste cose” (più vari vaffanculo e incitazioni alla rissa e un ultimo rassegnato: “Chi sbaglia paga qualunque sia il cognome che eventualmente porti”).

    Di tutte le insapute esistenti e portate in giro come nuovo manifesto esistenziale privo di senso del ridicolo (case al Colosseo, a Montecarlo, vacanze, alberghi, denari, donne, conti pagati)  l’unico “amiainsaputa” possibile è quello di Umberto Bossi, che si è dimesso ringhiando “Io non le so queste cose” (più vari vaffanculo e incitazioni alla rissa e un ultimo rassegnato: “Chi sbaglia paga qualunque sia il cognome che eventualmente porti”). E davvero, guardando quella faccia sghemba su corpo non più saldo, mentre assicura ai suoi che il Trota sta studiando e che “mi ha fatto vedere gli esami sul libretto” (come quando diceva che l’avevano bocciato perché i professori erano “teròni”), e che sa talmente bene l’inglese da aver fatto da interprete fra Silvio Berlusconi e Hillary Clinton, e che gli aveva giurato che la macchina l’aveva presa in leasing, si sente lo smarrimento dello scombiccherato che sa di non sapere e quindi dice sì a tutto: non si può immaginare molto di più che la colossale, popolana  e non solo femminile circonvenzione di un uomo stanco, a cui annodano la cravatta, ma storta, e che viene pettinato, ma male, e che si appoggia grato al suo cerchio d’acciaio composto da donne, figli e consiglieri, un vecchio leone addormentato, che ogni tanto apre un occhio ed emette un ruggito per rassicurare la savana, ma per tutto il resto del tempo le scimmie e i coccodrilli fanno come pare a loro.

    I bonifici in Tanzania, le macchine di lusso, i diamanti, i soldi per tre lauree, i soldi per il diploma di Renzo, i soldi per i decreti ingiuntivi di Riccardo, i soldi per la scuola di Manuela, la moglie, che con la malattia di Bossi è diventata la dea della salvezza da non mettere mai più in discussione, il bastone della convalescenza, il presente e il futuro. “Io non ho le veline. Io ho mia moglie e i miei figli”: lui non ha le veline, a far casino gli è bastata la famiglia, a sua insaputa o a sua totale fiducia. Spunta perfino, in questa storia perfetta, una cartellina con scritto “Family” (in inglese, la lingua del Trota, oppure una lingua segreta che nessuno nella Lega avrebbe saputo decifrare) nella cassaforte del tesoriere spudorato, Belsito, che a un certo punto doveva dire a Bossi, secondo le intercettazioni: “Senti capo, noi manteniamo tuo figlio Riccardo, tuo figlio Renzo, guarda che tu non versi i soldi, tuo figlio nemmeno, ed è da quando sei stato male”. Renzo è il Trota, quello che avrebbe falsificato i libretti universitari (del resto il padre, che adesso crede alle bugie del figlio, venne lasciato dalla prima moglie quando lei scoprì che invece di andare a fare il medico, non essendosi mai laureato, usciva con la valigetta per andare al bar a immaginarsi un futuro glorioso), Riccardo è il primogenito, che voleva andare all’“Isola dei Famosi” e si fidanzava con le Pupe, Eridano Sirio è ancora piccolo, grazie al cielo, non ha nemmeno la patente, non può desiderare né una laurea né una Porsche.

    E Manuela Marrone e Rosi Mauro hanno l’aria silenziosa e scura del patto fra matriarche, le signore forse hanno deciso che è meglio non farlo preoccupare, l’Umberto si stanca tanto facilmente, ci pensiamo noi che abbiamo senso pratico, lui è un artista, lui è il capo, lasciatelo in pace. Che gliene importa a uno come Bossi, che viveva selvaggio, ringhiante e in canottiera in una stanzetta col water in via Bellerio, di ristrutturare la casa di famiglia? O di essere ricco, quando al massimo mangia una pizza con l’acciuga e beve una Coca-Cola? Lui ormai si lasciava convincere di troppe cose, si fidava di chiunque, per sopraggiunta eclisse, perché era rimasto come un ologramma fatto di corpo e sofferenza, che si era ripreso tutto ma non se stesso. Voi non mollate, Bossi non poteva più dire molto altro. Lo notavano tutti: è diventato più buono (per non dover dire: più scemo). La sopraggiunta umanità del quasi infermo, portato in giro come un trofeo, che sbava amore, che nella malattia ha scoperto i valori importanti: i figli, la moglie, anche la iper badante Rosi Mauro. E i valori importanti hanno scoperto il capo smemorato, distratto, traballante, le infinite meschine possibilità della sua insaputa.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.