Amauri e Pinilla, i gol degli indesiderati che fanno felici i nuovi tifosi

Sandro Bocchio

In Italia il nemico del mio nemico diventa automaticamente mio amico, logica tribale cui il calcio non può sottrarsi. Ragion per cui i tifosi della Juventus non si sono turati il naso e hanno applaudito convinti il gol di Amauri, pur trattandosi di un giocatore oggi della Fiorentina e di cui era persino vietato evocare il nome pochi mesi or sono. A gennaio anche Mauricio Pinilla ha lasciato – insalutato ospite – chi aveva scommesso su di lui.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Amauri e Pinilla .

    In Italia il nemico del mio nemico diventa automaticamente mio amico, logica tribale cui il calcio non può sottrarsi. Ragion per cui i tifosi della Juventus non si sono turati il naso e hanno applaudito convinti il gol di Amauri, pur trattandosi di un giocatore oggi della Fiorentina e di cui era persino vietato evocare il nome pochi mesi or sono. Ma la vittoria toscana sul Milan (con sorpasso bianconero in vetta) aiuta a dimenticare, anche in un mondo di memoria lunga e rancori profondi qual è quello pallonaro. Amauri ha così segnato la sua rete più importante per la Juventus quando questa è storia chiusa dopo tre anni e mezzo, schiacciata da una supervalutazione di quasi 23 milioni, sgonfiata dal campo per meriti sovrastimati del giocatore e per crisi perenne della squadra. Una risorsa divenuta problema, che la società ha cercato di risolvere con la classica cessione, passando quindi a maniere spicce di fronte al rifiuto di trasferirsi in estate a Marsiglia. E se a Melfi casa madre Fiat è disposta a pagare tre operai reintegrati dal giudice pur di non farli rientrare in fabbrica, a Vinovo il destino di Amauri è stato allenarsi con la Primavera dopo il “taglio” di Conte. Mobbing dorato, visto un contratto in scadenza da 3.8 milioni, ma con l'attaccante ben lontano dalla prima squadra, trasformato "in un caso che deve far riflettere" sia da chi difendeva le ragioni della società (l'ad Marotta) sia da chi sosteneva quelle dei giocatori (il presidente dell'Assocalciatori Tommasi). Fino a gennaio, alla chiamata della Fiorentina, alla chiusura della storia bianconera per 500.000 euro e alla rete di San Siro che ha fatto godere chi poco tempo prima aveva messo in castigo il brasiliano, negandogli anche un numero di maglia. "Un favore alla Juve? No, io vado a testa alta", il commento piccato di Amauri.

    A gennaio anche Mauricio Pinilla ha lasciato – insalutato ospite – chi aveva scommesso su di lui. Un talento puro, fin dall'esordio con la maglia del Cile: gol dopo appena 4 minuti, a 19 anni. Tanto era bastato per considerarlo più bravo di Zamorano e Salas. Ma anche un fisico sempre disposto all'infortunio, e di ogni tipo: strappi, contratture, dolori e fratture. Un campionario che lo accompagna in una carriera che pare subito al top, quando l'Inter lo chiama nel 2003, e che rotola via con poche partite, ancor meno gol e cronaca più nera che calcistica, come la rissa in un locale di Santiago nel 2008: tre pugni in faccia dal connazionale Jimenez (questione di donne) e nuova corsa in ospedale, stavolta per un trauma cranico. Un episodio che, unito all'ennesimo trasferimento al ribasso (in Cipro all'Apollon), sembra scrivere la parola fine, se non ci fosse l'Italia a fare ancora da salvagente. Nel 2009 Pinilla segna come non mai a Grosseto: 24 reti in altrettante partite che valgono la chiamata del Palermo. L'inizio è buono, poi tornano i vecchi problemi fisici e il solito carattere inaffidabile. "Ha la testa di un ragazzino, deve cambiare aria", sentenzia Zamparini, che lo esilia a Cagliari. Al cileno basta poco per farsi rimpiangere: sette gol in nove partite. L'ultimo con l'esultanza smodata che l'ha fatto espellere contro l'Inter. Un vizio, perché aveva fatto così anche dopo la rete al Palermo, per la rabbiosa reazione del presidente siciliano: "Si ricordi che è solo in prestito e che ci vogliono 3 milioni per averlo". Avvertimento doppio: al giocatore, se tornerà in Sicilia; a Cellino, se lo vorrà tutto per sé.

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