Offensiva nel nord della Siria
“Così i soldati di Assad ci usano come scudi umani sui carri per avanzare”
A metà marzo le forze di sicurezza siriane di Bashar el Assad hanno lanciato un’offensiva per riprendere il controllo di alcuni villaggi e città nell’irrequieta provincia di Idlib, nel nord del paese, lungo il confine con la Turchia. Nei giorni dell’attacco, migliaia di civili hanno cercato la salvezza oltrepassando la frontiera. Ora vivono nelle tende di plastica dei cinque campi profughi creati dal governo turco nella zona di Hatay. Dai racconti di alcuni di loro, l’irruzione delle forze del regime nei centri abitati e le tattiche dei soldati contro la popolazione seguono un modello ricorrente.
Antiochia, dalla nostra inviata. A metà marzo le forze di sicurezza siriane di Bashar el Assad hanno lanciato un’offensiva per riprendere il controllo di alcuni villaggi e città nell’irrequieta provincia di Idlib, nel nord del paese, lungo il confine con la Turchia. Nei giorni dell’attacco, migliaia di civili hanno cercato la salvezza oltrepassando la frontiera. Ora vivono nelle tende di plastica dei cinque campi profughi creati dal governo turco nella zona di Hatay. Dai racconti di alcuni di loro, l’irruzione delle forze del regime nei centri abitati e le tattiche dei soldati contro la popolazione seguono un modello ricorrente: per evitare il fuoco dell’Esercito libero, le truppe regolari entrano nei villaggi facendosi aprire la strada da civili, spesso donne e bambini. Una volta entrati e dopo aver raccolto tutta la popolazione nella piazza centrale, irrompono nelle case in cerca di attivisti e disertori.
Ad Antiochia, storica città turca a pochi chilometri dal confine, una decina di giovani sono attualmente ricoverati in un ospedale improvvisato in una palazzina che serve da quartier generale alla Human Commission for Syrian Relief, associazione umanitaria anti regime. Un uomo sui trent’anni siede al capezzale dell’amico ferito pochi giorni fa da un cecchino con un colpo all’addome. Lo ha portato a spalla oltre il confine da Janudieh, a cinque chilometri dalla frontiera turca. “Hanno usato donne e bambini come scudi umani – dice al Foglio raccontando l’entrata dell’esercito nel villaggio lo scorso 11 marzo – Li hanno fatti camminare davanti ai carri armati mentre avanzavano”, spiega. Ricorda qual era la vita a Janudieh dopo l’arrivo delle truppe, prima di scappare in Turchia: “Si poteva uscire un’ora al giorno soltanto, al mattino. Nessuno andava più a lavorare i campi per la paura di diventare improvvisamente obiettivo dei cecchini”. E’ talmente terrorizzato che non soltanto rifiuta di dare il proprio nome, ma non vuole neppure rivelare il suo mestiere per timore di essere riconosciuto.
Un ragazzo di tredici anni, anche lui troppo spaventato per dire come si chiama, ha raccontato al Foglio di essere stato costretto a camminare davanti alle truppe in avanzata sul suo villaggio, Shaturia, vicino a Janudieh. L’adolescente, che oggi vive con la famiglia nel campo turco di Yaylada, racconta di non aver potuto muoversi dalla piazza centrale dove era stata ammassata la popolazione (anziani, donne e bambini, visto che tutti gli uomini oltre i 18 anni erano scappati sulle montagne per timore di arresti) e di non aver toccato acqua e cibo per sei ore. Ghassan A. è un barbiere di trentadue anni del villaggio di al Lij, nella regione frontaliera di Jabal el Zawiyah. Anche lui è stato testimone di un simile episodio attorno all’11 marzo, ricorda. “Hanno preso le donne e le hanno messe davanti all’esercito”, spiega. I soldati cercavano qualcuno, attivisti e disertori. “Se volevano per esempio un tale Mohammed – dice – prendevano sua moglie”. Secondo Abu Zhaki, comandante di un’unità dell’Esercito libero siriano che era presente nel villaggio di Ayn Larouz quando i civili sono stati costretti ad aprire la strada alle truppe in avanzata, le forze di sicurezza usano la popolazione per costringere i ribelli alla ritirata.
Jabal el Zawiyah, l’area in cui si muove l’unità di Abu Zhaki, è una regione montuosa in cui è facile nascondersi e in cui l’Esercito libero ha le proprie basi. E’ una zona difficile da controllare per il regime, spiega Ole Solvang, ricercatore di Human Rights Watch che ha lavorato a un recente rapporto in cui l’organizzazione internazionale accusa le forze di sicurezza siriane dell’utilizzo di scudi umani: “E’ una pratica utilizzata sempre di più negli ultimi due mesi”, dice. A Kafr al Nabl, secondo le ricerche di Hrw, molti civili sarebbero stati usati per proteggere le truppe dopo che l’Esercito libero ha iniziato a nascondere ordigni esplosivi lungo il ciglio della strada, contro i carri armati. Al Foglio, Tawfik K., giovane disertore di ventisette anni di Janudieh, ora nel campo profughi di Bohflin, ha detto di aver visto i soldati mettere una donna del villaggio sopra un carro armato. Per il comandante Abu Zhaki, l’utilizzo dei civili da parte dell’esercito “è legato al crescente numero di defezioni”. Centodieci su centoquaranta dei suoi uomini sono disertori. Il regime starebbe cercando di arginare il fenomeno con il terrore. Il 10 marzo, ad Ayn Larouz, racconta il ricercatore di Hrw, dopo la defezione di quattro soldati in una base, l’esercito ha fatto irruzione casa per casa, in cerca dei disertori. Non li ha trovati e ha preso 34 ostaggi, quattro dei quali sono stati rinvenuti uccisi più tardi.
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