La guerra dei vecchi contro i giovani
Nel 1984, gli americani sopra i sessantacinque anni guadagnavano dieci volte la cifra guadagnata dagli americani sotto i trentacinque anni. Nel 2009, il rapporto tra i soldi portati a casa dagli over 65 e quelli portati a casa dagli under 35 è diventato abnorme di 47 volte. Stephen Marche ha scritto un articolo imprescindibile sul numero di aprile di Esquire in cui racconta il segreto su cui è necessario tacere, pena sembrare “pessimisti, seminatori di zizzania, fuori dal mondo, amareggiati dalla vita”.
Nel 1984, gli americani sopra i sessantacinque anni guadagnavano dieci volte la cifra guadagnata dagli americani sotto i trentacinque anni. Nel 2009, il rapporto tra i soldi portati a casa dagli over 65 e quelli portati a casa dagli under 35 è diventato abnorme di 47 volte. Stephen Marche ha scritto un articolo imprescindibile sul numero di aprile di Esquire in cui racconta il segreto su cui è necessario tacere, pena sembrare “pessimisti, seminatori di zizzania, fuori dal mondo, amareggiati dalla vita”: la condizione dei giovani oggi non è il frutto della disoccupazione disastrosa e della bolla immobiliare, è il risultato prevedibile di trent’anni di politica sociale pianificata per servire gli interessi e il comfort dei vecchi a spese dei giovani. In ogni epoca, tutti, anche i seguaci delle ideologie più corrotte o criminali, hanno sempre creduto di lavorare a un futuro migliore. “Non oggi. L’angelo del progresso è svanito improvvisamente dalla scena. Anzi, l’angelo del progresso è stato cacciato via”. E’ uno dei temi più ricorrenti in Italia, i vecchi che mangiano il futuro dei giovani, la gerontocrazia, il tappo generazionale, il benessere di oggi caricato sulle spalle di chi viene dopo, ma Marche ha lavorato sull’America.
Marche cita David Frum, ex speechwriter di George W. Bush, che ha il fegato di riconoscere che il programma del Tea Party, con la sua combinazione di diritti acquisiti costosi e di tagli delle tasse “non è un programma politico conservatore: è la grande liquidazione per cessata attività della generazione del Baby boom”. Lo scopo dell’economia non ha nulla a che fare con Ronald Reagan o Barry Goldwater, l’imperativo politico è uno solo: preservare il bozzolo di irrealtà in cui i boomeers si sono avvolti. Lo stesso vale per i democratici: la campagna 2008 di Obama assomiglia a una fantasia in cui i conflitti essenziali della vita non appaiono. “America bianca contro America nera, America dei blu state contro America dei red state… può essere, ma quello che è sicuro è che esiste un’ America dei vecchi e una dei giovani e non formano una comunità d’interessi. Gli uni prendono dagli altri”. Il governo federale spende 480 milioni di dollari per l’assistenza sanitaria e 68 per l’istruzione. 62 milioni di dollari in farmaci sussidiati e soltanto 8 per programmi di assistenza sociale. Il flusso del denaro non scorre in direzione dei giovani, per aiutarli a crescere, ma in quella dei vecchi, per garantire loro una morte confortevole. Secondo uno studio della Brookings Institution del 2009, gli Stati Uniti spendono per i vecchi due volte e mezzo quello che spendono per i più giovani: su base federale, il rapporto diventa sette a uno. Il problema più grande sono le casse delle pensioni, che nel 2036, secondo le stime, saranno asciutte, proprio quando gli ultimi boomers avranno novant’anni. “E’ la fusione di modelli economici: socialismo in stile Grecia che non ci possiamo permettere per i vecchi, capitalismo duro e puro per i giovani”.
Il punto è che nemmeno l’istruzione può salvare. Le università sono il luogo dove questa tendenza perversa a danno di chi è arrivato dopo si manifesta con più evidenza, pochi baroni e tanti assistenti, e livello educativo che decade. E per quanto riguarda il dopo, ormai 25 anni sono un periodo considerato normale per riuscire a ripianare con il proprio lavoro i debiti contratti per pagarsi le spese degli studi. Per chi non studia, va ancora peggio, e l’arretramento delle condizioni si può sintetizzare con una definizione devastante: “Paghe competitive a livello globale”. Vuol dire adeguate al livello del Terzo mondo, dove ormai la manodopoera ugualmente qualificata ma con meno aspettative riesce ad attrarre capitali e imprese. E, Marche conclude, quello che sta accadendo in America avviene dovunque, dai paesi arabi all’Italia.
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