La Pasqua sotto le bombe dei cristiani in Siria

Susan Dabbous

Nella piazza principale di Mar Elias, villaggio cristiano vicino Homs, c’è un enorme buco che frantuma il lastricato di marmo. E’ il segno recente di una bomba. “C’erano i bambini che giocavano a pallone in pieno pomeriggio”, racconta Abu Ahmed un profugo siriano a Wadi Khaled, Nord del Libano. “E’ così che li proteggono i cristiani gli uomini di Assad?”, chiede con rabbia mostrando sul suo telefonino il video dei danni provocati dagli ordigni.

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    Beirut. Nella piazza principale di Mar Elias, villaggio cristiano vicino Homs, c’è un enorme buco che frantuma il lastricato di marmo. E’ il segno recente di una bomba. “C’erano i bambini che giocavano a pallone in pieno pomeriggio”, racconta Abu Ahmed un profugo siriano a Wadi Khaled, Nord del Libano. “E’ così che li proteggono i cristiani gli uomini di Assad?”, chiede con rabbia mostrando sul suo telefonino il video dei danni provocati dagli ordigni. Abu Ahmed è sunnita e tiene a ribadire la grande solidarietà che si è istaurata tra musulmani e cristiani: entrambi nel mirino delle stessi attacchi da parte dell’esercito regolare di Bashar al Assad. “Molti di noi fuggiti da Qusair – prosegue l’uomo – si sono riparati a Mar Elias dove siamo stati ben accolti, ma ormai neanche lì è più sicuro, per questo siamo in Libano”.

    La comunità cristiana di Homs (circa cinquantamila persone nel centro storico) è solita radunarsi in tre chiese, attualmente inagibili e danneggiate dai razzi. “Quest’anno, per la seconda volta non abbiamo potuto celebrare la Pasqua”, spiega una donna cristiana della città martoriata che preferisce non rivelare il suo nome. E se l’anno scorso per rispetto delle vittime cadute durante il primo mese di protesta si erano evitate grandi celebrazioni, quest’anno ad Homs non si è potuta svolgere neanche la messa. “Uscire è impossibile – prosegue – troppo pericoloso, preferiamo riunirci in preghiera nelle case private”. Le provviste di cibo sono scarsissime, “Abbiamo avuto un pranzo frugale. Niente uova di Pasqua per i bambini che normalmente vivono questo momento con grande gioia”. E’rimasto inascoltato quindi l’appello lanciato ieri dal Papa Benedetto XVI sulla fine delle violenze in Siria, il Vicario Apostolico di Aleppo, Mons. Giuseppe Nazzaro, alla vigilia della Risurrezione aveva anche chiesto un “immediato cessate-il-fuoco, per una Pasqua senza sangue”. I cristiani fuori Homs hanno dovuto celebrare la festività sotto tono. Niente domenica delle Palme, via Crucis del venerdì santo, né preghiere o messe all’aperto come si fa tradizionalmente. “Abbiamo voluto esprimere in tal modo la nostra profonda solidarietà a tutto il popolo, che da un anno soffre per un duro conflitto”, ha affermato Nazzaro. Dei centosessantamila cristiani che abitano normalmente l’intera area urbana di Homs, ha fatto sapere l’agenzia Fides, “non ne sono rimasti che un migliaio”. Chi fugge racconta di aver dovuto dimostrare al Free Syrian Army di essere cristiano, e non alawita, recitando il “Padre nostro”. Altrimenti sarebbe stato ucciso a sangue freddo.

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