E' il momento giusto per il playboy Khan (e i servizi segreti)

Daniele Raineri

Se a nord della Linea Durand che separa Afghanistan e Pakistan il presidente Hamid Karzai è sempre più cedevole con i talebani, che reclamano una spartizione del potere politico, a sud l’astro nascente della politica pachistana, Imran Khan, promette la stessa formula di governo: una bella faccia apprezzata a occidente – com’era anche Karzai il maestoso pashtun nel 2001 – che però è prontissima all’accordo con l’estremismo antioccidentale.Quest’inverno un comizio pubblico di Khan si è trasformato nell’adunata politica più grande della storia recente del Pakistan.

    Se a nord della Linea Durand che separa Afghanistan e Pakistan il presidente Hamid Karzai è sempre più cedevole con i talebani, che reclamano una spartizione del potere politico, a sud l’astro nascente della politica pachistana, Imran Khan, promette la stessa formula di governo: una bella faccia apprezzata a occidente – com’era anche Karzai il maestoso pashtun nel 2001 – che però è prontissima all’accordo con l’estremismo antioccidentale. Quest’inverno un comizio pubblico di Khan si è trasformato nell’adunata politica più grande della storia recente del Pakistan. La sua popolarità come uomo politico nel paese non è mai stata così alta. Alle elezioni per il posto di primo ministro, che sono previste per l’inizio del prossimo anno, c’è una ragionevole possibilità che prevalga sugli altri candidati, da tempo logorati da una scena politica che appare irrilevante accanto all’establishment militare e che è ridicolizzata per la sua corruzione.

    Khan guida un partito di centro, il Movimento pachistano per la Giustizia, che promette di risolvere i problemi del paese in soli novanta giorni. Ma è accusato di essere a libro paga dei servizi segreti militari, l’Isi, padrini dei talebani, e di essere troppo morbido e consenziente con gli estremisti. Il suo ingresso in politica è avvenuto sotto la tutela di Hamid Gul, il generale dei servizi che sponsorizzano i gruppi di combattimento arabi in Afghanistan dicendo che “se l’Europa ha la Nato, anche l’islam ha diritto a una sua brigata internazionale”. Da quando ha iniziato la sua nuova carriera, il leggendario capitano della nazionale di cricket ha cominciato ad attaccare i costumi corrotti dell’occidente, “che è in fallimento perché drogato da sesso e oscenità”, e “dalle ragazze grasse in minigonna” – cosa che non gli ha impedito di apprezzare da playboy le magre in minigonna, sulla favolosa scena mondana di Londra. Sposato con Jemima Goldsmith, da cui ha avuto due figli, l’ha poi lasciata, forse anche perché era un ostacolo troppo grande sulla via della sua ascesa politica: era mezza ebrea. Per anni ha tentato il colpo, ma è stato lasciato in disparte come outsider improbabile. Foreign Policy lo definì “il Ron Paul pachistano”, come il candidato americano che esce sempre sconfitto dalle primarie repubblicane: capace di attrarre attenzione con le sue posizioni eccentriche, ma non di creare elettori. Ora però il clima è cambiato: il ritiro americano dall’Afghanistan aprirà nuovi scenari e una faccia che non spaventi gli occidentali – che donano tanti aiuti a fondo perduto – ma che sia disponibile a trattare sottobanco con militari e islamisti è al posto giusto al momento giusto. “Khan ha più che un debole per i talebani afghani – raccontò anni fa un leader del suo stesso partito – pensa che la milizia religiosa abbia reso grandi servigi all’Afghanistan prima di diventare un bersaglio per gli americani”. Fu lui nel 2005 a scatenare in Pakistan il caso del Corano dissacrato a Guantanamo, con una conferenza stampa furente.

    Oggi non ha cambiato idea, e vuole il ritiro dei soldati dalla lotta contro i talebani pachistani, con i quali vorrebbe aprire “un dialogo”. A Newsweek dice di considerare la guerra al terrore nelle aree al confine con l’Afghanistan “come la definzione di pazzia data da Einstein: continuare a fare la stessa cosa più e più volte, aspettandosi risultati diversi. L’esercito pachistano sta uccidendo la sua gente, è il periodo più vergognoso della nostra storia. Abbiamo creato la guerriglia con le bombe e ne creiamo altra continuando a bombardare. La classe dirigente s’è venduta l’anima per denaro”.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)