Il sangue dei Bossi, ovvero la parodia troppo seria di una dinastia
Avevano deciso di avvalersi del diritto dinastico, come nel “Padrino”, come nei “Soprano”, come i reali d’Inghilterra. Era la parodia, troppo seria, di una dinastia, quelle in cui i valletti conoscono ogni segreto e scrivono libri rivelazione. In questo caso l’autista del Trota, come ogni valletto, ha tradito e si è filmato per dimostrare l’uso del bancomat dei rimborsi benzina, si sa poi che faceva al rampollo anche da preparatore intellettuale per le interviste televisive.
Avevano deciso di avvalersi del diritto dinastico, come nel “Padrino”, come nei “Soprano”, come i reali d’Inghilterra. Era la parodia, troppo seria, di una dinastia, quelle in cui i valletti conoscono ogni segreto e scrivono libri rivelazione. In questo caso l’autista del Trota, come ogni valletto, ha tradito e si è filmato per dimostrare l’uso del bancomat dei rimborsi benzina, si sa poi che faceva al rampollo anche da preparatore intellettuale per le interviste televisive, in un rapporto simbiotico di protezione, allo stesso modo in cui Lady D. confessava le sue pene d’amore ai maggiordomi. Adesso che è tutto in frantumi, ora che la Lega è riuscita a distruggersi da sé, per troppa smania di titoli di studio e altre meschinerie di lusso, brilla la stupefacente storia di una famiglia strapadana che si sentiva strareale. Due regine, la regina madre per diritto di sangue e la regina badante in qualità di speciale gran visir, che in cambio della dedizione ha ottenuto la vicepresidenza del Senato (avrebbe voluto molto di più) e non vede perché dovrebbe dimettersi, lei il suo lavoro l’ha fatto: sorreggeva Bossi, gli asciugava gli angoli delle labbra, lo accompagnava in Parlamento, scacciava i giornalisti ancora prima che si avvicinassero (via, via, Bossi non parla con nessuno, ringhiava da metri di distanza, tanto che una volta un cronista le gridò: ma chissenefrega, chi ti ha chiesto niente, nessuno vuole parlare con Bossi). Storia perfetta da “Soprano”, e perfetta nemesi per chi urlava contro i ladroni nati sotto il Po: la regina badante, Demi Moore delle valli con il suo toy boy cantante ex poliziotto, a cui per premio avrebbe comprato un diploma (per sé la laurea), anche se adesso nega corrucciata come al solito, con quel nero di capelli quasi blu che non si trova più da nessun parrucchiere, e dice: “Io ero asina a scuola, non mi ha mai neppure sfiorato l’idea di iscrivermi a una università in Svizzera o altrove. Posso escluderlo anche per il mio caposcorta, Paolo Moscagiuro”. Era il suo caposcorta, non il suo fidanzato, perché caratteristica della famiglia reale è anche un gran numero di bodyguard, a cui era affidata, sempre per orchestrazione di Rosi Mauro e Manuela Marrone, regine illuminate al neon delle pizzerie lombarde, la formazione culturale del Trota. La formazione culturale consisteva nell’impedirgli fisicamente di parlare con i giornalisti. Trota, ragazzo entusiasta, aveva una gran voglia di chiacchierare, di raccontare, allora arrivavano le guardie del corpo tutte insieme e lo trascinavano via a forza, prendendolo sottobraccio, prima che potesse aprire bocca. Era il rampollo della famiglia reale, quindi bisognava proteggerlo, diplomarlo, laurearlo, mantenerlo. Tutto questo senza una briciola di allegria manigolda, ma sempre con il senso cupo di una rivalsa, della restituzione di qualcosa che spetta. La differenza fra i Bossi e una serie televisiva che si ispira a “Quei bravi ragazzi” è che a Rosi Mauro e ai suoi amici è mancato completamente, per vent’anni almeno, il senso dell’umorismo.
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