Belle facce, ma stanno con i talebani

In Afghanistan e Pakistan si prepara un brutto doporitiro

Daniele Raineri

Domenica la guerra americana in Afghanistan ha raggiunto un punto di svolta fondamentale. Dopo due anni di trattative, Washington ha raggiunto un accordo con Kabul sui temutissimi raid notturni delle forze speciali: da ora in poi dovranno essere autorizzati con tre giorni d’anticipo da uno speciale panel formato da giudici afghani. Il comando, durante le operazioni, è affidato a ufficiali afghani.

    Domenica la guerra americana in Afghanistan ha raggiunto un punto di svolta fondamentale. Dopo due anni di trattative, Washington ha raggiunto un accordo con Kabul sui temutissimi raid notturni delle forze speciali: da ora in poi dovranno essere autorizzati con tre giorni d’anticipo da uno speciale panel formato da giudici afghani. Il comando, durante le operazioni, è affidato a ufficiali afghani. In casi speciali, per esempio quando si rischia di perdere le tracce di ricercati importanti, i giudici possono concedere il mandato dopo il raid, ma se non lo concedono chiunque sia stato catturato durante l’operazione deve essere liberato. Gli americani si sono riservati una scappatoia nell’accordo: squadre speciali addestrate e comandate dalla Cia possono ancora agire fuori da questa giurisdizione, in modo che una nuova ipotetica operazione Neptune Spear contro un Osama bin Laden nascosto in Afghanistan non debba passare per forza attraverso la concessione di un mandato da parte di magistrati di Kabul con 72 ore di anticipo. L’accordo arriva, come sperato da entrambe le parti, prima dell’importante conferenza di pace di Chicago del 20 maggio.

    Più che i bombardamenti con vittime civili, sono le incursioni notturne ad avere provocato negli anni le reazioni più sdegnate e le proteste più violente da parte degli afghani e del governo contro l’America. Non si tratta di raid occasionali: ogni notte squadre speciali a bordo di elicotteri atterrano a poche decine di metri dalle case di sospetti leader di medio livello della guerriglia e fanno irruzione, per portare via uno o due prigionieri verso i centri di detenzione. E’ un pressing fortissimo sui talebani, certe notti le missioni si contano a decine, nel solo 2011 sono state 2.200, e ci sono state vittime civili soltanto nell’1,5 per cento dei casi. La maggior parte dei raid sono compiuti assieme alle forze speciali afghane (che sono l’unica parte affidabile dell’esercito di Kabul). Ma i soldati sfondano porte ed entrano in case dove sono presenti anche donne e bambini e violano in un colpo solo le regole dell’islam e della tradizione afghana, almeno così il governo di Kabul sostiene le sue proteste. O forse è uno strumento di pressione troppo forte sui talebani, perché i raid seguono un modello elaborato nel 2006-2007 a Baghdad, fatto di intercettazioni, soffiate da fonti locali e interventi immediati che degradò il network di al Qaida in Iraq.

    Il passaggio sotto il comando afghano (con rischio di fughe di notizie) fa parte di una lunga serie di concessioni da parte dell’America che fino a un anno fa sarebbero sembrate impossibili. L’atmosfera è cambiata, l’orizzonte del ritiro s’avvicina, gli alleati europei si sono defilati sul campo e pensano soltanto al rimpatrio delle truppe, i disastri – come il rogo colposo di copie del Corano, il video dei marine che dissacrano i cadaveri, la strage di adulti e bambini del sergente impazzito – hanno reso l’Amministrazione Obama docile davanti a un presidente afghano, Hamid Karzai, intenzionato a riposizionarsi per il futuro e ad accettare che i talebani facciano parte della scena politica. Karzai ha già ottenuto il passaggio sotto le sue forze delle prigioni e dei detenuti ancora nelle mani degli americani, la cancellazione di ex talebani di spicco dalla lista delle sanzioni delle Nazioni Unite, l’annuncio di leggi sulle donne filotalebane. Ha chiesto la liberazione di leader della guerriglia dalla prigione di Guantanamo, ha detto che non ci sarà spazio per basi americane dopo il 2014 e ora ha ottenuto l’intesa sui raid notturni. Sta modellando la sua politica in modo da farsi trovare dalla fine della guerra in piena riconciliazione con il Mullah Omar. Senza rinunciare agli 1,4 miliardi di dollari che l’America e gli alleati si sono impegnati a versare per i prossimi dieci anni.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)