Come si dice fottere in Corea del nord

Giulia Pompili

Tra oggi e lunedì prossimo la Corea del nord lancerà il suo “satellite spaziale di osservazione terrestre” per celebrare il centenario della nascita di Kim Il Sung, l’“eterno presidente”, che cade il quindici di aprile.

    Tra oggi e lunedì prossimo la Corea del nord lancerà il suo “satellite spaziale di osservazione terrestre” per celebrare il centenario della nascita di Kim Il Sung, l’“eterno presidente”, che cade il quindici di aprile. Da giorni fervono i preparativi nella stazione di lancio di Sohae, nella contea nord-ovest della Corea del nord, e i satelliti spia americani mostrano il missile lanciatore già posizionato da giorni, pronto a far decollare Kwangmyongsong-3, il satellite di osservazione terrestre che prende il nome da un componimento poetico in cinese di Kim Il-Sung. E’ il quarto tentativo di lancio dalla nascita del programma spaziale nordcoreano Kwangmyongsong, “stella luminosa”, iniziato intorno agli anni Ottanta.

    Razzo lanciatore o missile?
    Se un satellite di osservazione terreste sarebbe di per sé innocuo, da quando il 27 marzo scorso Pyongyang ha ribadito la sua intenzione di andare avanti con il programma la comunità internazionale ha adottato contromisure imponenti. A fare paura, in realtà, non è il satellite, ma il razzo vettore Unha-3, costruito con le tecnologie di un altro spauracchio per gli analisti occidentali, ovvero il missile balistico Taepodong-2 protagonista – nella sua prima versione – dei test missilistici del 5 luglio 2006. Anche nel 2009, nel corso di quella che i nordcoreani avevano chiamato “missione spaziale”, secondo Washington non era stato un Unha-2 a essere lanciato in orbita ma un Taepodong-2, missile balistico in grado di arrivare a 4.500 chilometri. Quasi tutti i razzi vettori sono generalmente derivati da missili balistici. Semplificando, quello che differenzia i due è il computer di bordo: nel caso del veicolo di lancio per satellite, il computer guida il missile su un’orbita attorno alla terra, che quindi non ha intersezioni con essa. Nel caso di un missile balistico, invece, il computer guida il missile su una traiettoria che interseca la terra su un punto che sarà quello d’impatto. In un lancio in orbita, dal lanciatore vengono sganciati degli stadi (i motori) man mano che si esaurisce il propellente e che ricadono sulla terra. I paesi con programmi spaziali attivi aderiscono ad autorità indipendenti che autorizzano i lanci nella salvaguardia delle popolazioni sorvolate dai razzi. Nel caso della Corea del nord, qualunque tipo di lancio potrebbe essere pericoloso. “Pyongyang andrà certamente avanti col lancio, nonostante la crescente pressione internazionale – spiega al Foglio Kosuke Takahashi, analista giapponese e firma del Jane’s Defence Weekly – il 5 aprile 2009 lanciarono quello che Pyongyang definì un satellite. Che fosse davvero un satellite, però, il governo giapponese non lo potè mai confermare: nessun oggetto volante, infatti, aveva emesso alcuna onda elettrica. Se fosse stato un satellite avrebbe dovuto inviare a terra alcuni segnali, per esempio i dati Gps”. In quella occasione, secondo l’intelligence dello United States Northern Command, il primo stadio del razzo lanciato dalla piattaforma di lancio di Sohae cadde nel mar del Giappone e i successivi nell’oceano Pacifico. Il missile impattò a 3.850 chilometri dal sito di lancio e nessun oggetto sarebbe mai entrato in orbita.

    Prossimo anche un test nucleare
    Ad aumentare la tensione con la comunità internazionale non c’è solo la minaccia del missile. Secondo fonti d’intelligence della Corea del sud, Pyongyang ha intenzione di eseguire un esperimento atomico subito dopo il lancio del satellite, proprio come fece nel 2009. E l’informazione sarebbe confermata dalle immagini riprese dai satelliti spia americani nella base di Punggye-ri, dove furono condotti gli altri due test nel 2006 e nel 2009. Un terzo tunnel è stato scavato nella roccia, che si aggiunge agli altri due già esistenti. Secondo un analista anonimo citato da Asia Times, “è chiaro che la Corea del nord si sta preparando per un test nucleare, ma non è chiaro se effettivamente condurrà il test o utilizzerà la minaccia nucleare per ottenere ulteriori colloqui. L’obiettivo è, in ogni caso, quello di fare pressione sugli Stati Uniti”. I test sui missili balistici e sulle testate atomiche sono quindi il modo più semplice per “aumentare il suo potere negoziale con l’America, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali” di Washington.
    La Corea del nord sa bene che può fare la voce grossa per fare pressioni, ma è molto lontana dall’essere una minaccia per gli Stati Uniti. Tecnicamente non è ancora in grado di montare una testata nucleare su un missile balistico intercontinentale. Per Hiroyasu Akutsu, membro esperto di un think tank del ministero della Difesa giapponese e citato da Takahashi, “la Corea del nord probabilmente ha bisogno di diversi anni per sviluppare missili nucleari intercontinentali (gli ICBM) in grado di minacciare il continente americano”.

    Altro che regime change
    Alla morte di Kim Jong Il, in molti avevano sperato in un cambiamento di regime: Kim Jong-Un sembrava troppo giovane e troppo inesperto. Eppure le notizie ufficiali, a quattro mesi dalla morte del Caro leader, mostrano il contrario: la conferenza straordinaria del Partito del lavoratori di Corea ieri ha nominato ufficialmente Kim Jong-Un segretario generale del partito, e tra qualche giorno il leader dovrebbe essere eletto formalmente presidente della commissione di difesa nazionale della Repubblica della Corea del nord, ruolo chiave nel diritto pubblico nordcoreano che detiene la responsabilità generale sulle attività della difesa e che ha il controllo diretto dell’Unità 842 dell’esercito, quella che gestisce i missili balistici e le testate nucleari. Secondo un’inchiesta di Asia Times, il nuovo leader ha recentemente promosso alcuni importanti funzionari civili al rango di generali. Tra di loro c’è anche Ju Kyu-chang, oscura figura dietro la quale si celano tutti i programmi nucleari e missilistici di Pyongyang. E’ Kim Il-sung il modello che sta seguendo l’attuale leader, troppo giovane e troppo inesperto per godere dell’apprezzamento e della popolarità che possedeva il nonno. Secondo molti analisti lo si evince dalle immagini ufficiali, nelle quali la sua somiglianza fisica con il Grande leader viene esaltata in ogni modo. In aumento è anche la retorica militaristica: in occasione del lancio del razzo l’agenzia di stampa ufficiale della Corea del nord, la Kcna, ha scritto che Pyongyang “considererà come una dichiarazione di guerra l’intercettazione o la raccolta di detriti del missile da parte di qualsiasi paese”. Minacce quasi solo politiche, e che cadono nel vuoto, perché secondo numerose analisi la Corea del nord non possiede abbastanza petrolio per iniziare e portare avanti una guerra come quella con la Corea del sud del 1950-1953 – dopo la carestia seguita all’isolamento economico, Pyongyang affronta periodicamente black out controllati per il risparmio di energia. “E’ possibile che si limitino a proseguire con questa retorica di provocazione e risposta – dice al Foglio Scott Snyder, direttore del programma per le relazioni tra la Corea del nord e gli Stati Uniti del Council on Foreign Relations americano – ma le possibilità di una guerra sono basse”.

    L’accordo con Washington
    La notizia della visita ufficiale di Kim Jong-Un presso l’Unità 842 dell’esercito durante i colloqui diplomatici tra America e Corea del nord a fine febbraio era passata un po’ in secondo piano. In fondo c’era l’accordo firmato con l’America per la non proliferazione delle armi nucleari. Il 28 febbraio infatti Kim Kye Gwan, diplomatico nordcoreano, e Glyn Davies, inviato di Washington, dopo due giorni di colloqui a Pechino erano arrivati a un compromesso: il regime nordcoreano avrebbe sospeso l’arricchimento dell’uranio, i test nucleari e il lancio di missili a lungo raggio in cambio di 240 mila tonnellate di aiuti alimentari da parte degli Stati Uniti. Un successo, per l’Amministrazione Obama, che stava riuscendo dove Clinton e Bush con due strategie politiche diverse – il primo con l’attività diplomatica, il secondo con lo scontro diretto – non erano riusciti. Eppure soltanto una settimana prima dell’inizio dei colloqui Kim Jong-Un aveva fatto una visita ufficiale all’unità strategica dell’esercito. “L’unità viene chiamata ‘Missile Guidance Bureau’ (in italiano dipartimento della direzione di artiglieria) e ha il compito di gestire direttamente le armi nucleari nordcoreane e i missili a medio e lungo raggio – spiega Takahashi – se si guarda indietro a quel momento, Kim Jong-Un potrebbe aver ordinato di prepararsi al lancio di un razzo per la metà di aprile”.

    L’accordo che doveva saltare
    Evans Revere è l’ex assistente del segretario di stato americano per gli Affari in Asia orientale e nel Pacifico. Revere, qualche giorno fa, ha riportato le parole che un funzionario nordcoreano gli riferì durante una visita ufficiale a Pyongyang nel luglio scorso: “Abbiamo la sovranità di lanciare un satellite e non potremo mai rinunciare a questo diritto”. Se fosse così, Washington avrebbe potuto conoscere le intenzioni della Corea del nord prima ancora di firmare l’accordo. Interpellato dal Foglio, Revere dice che nessuno dell’Amministrazione sapeva del lancio, “tuttavia sembra che la Corea del nord avesse sollevato la possibilità del lancio di un satellite nel corso dei negoziati che portarono all’accordo del 28 febbraio. In quel caso fu detto loro molto chiaramente che un lancio del satellite sarebbe stata una violazione diretta dell’accordo, oltre all’evidente violazione di diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. A metà dicembre dello scorso anno ho avuto alcuni colloqui con funzionari nordcoreani. Ero preoccupato per la loro determinazione nel condurre i test balistici e nucleari, e subito dopo avvertii l’Amministrazione americana della mia conversazione”.
    “Per ora l’accordo di aiuti alimentari è sospeso – spiega il professor Snyder – molto probabilmente Pyongyang lancerà il suo missile e l’America non invierà il cibo”. E’ già successo più volte che la Corea non rispettasse accordi precedentemente presi con l’occidente, “ma questa volta c’è qualcosa di inusuale: la Corea del nord non si era messa in tasca nessun beneficio con l’accordo del 28 febbraio. Questo dovrebbe porre delle questioni sulla strategia politica di Kim Jong-Un”, spiega Snyder. Il presidente americano Barack Obama e quello cinese Hu Jintao, hanno partecipato al Nuclear Security Summit di Seul il mese scorso. Obama ha visitato anche quella che viene definita la “cortina di bambù”, la zona di confine tra nord e sud, e ha invitato il nord “a prestare maggiore attenzione al benessere della sua gente che al lancio di un missile”, eppure la questione nordcoreana non soltanto non era in programma (era unicamente oggetto dei colloqui bilaterali), ma gli unici due paesi che non aderiscono al Trattato di non proliferazione nucleare, Iran e Corea del nord, non erano invitati.

    L’alleato cinese prende le distanze
    Alla fine del 2010 Joseph S. Nye, capo del National Intelligence Council, sottosegretario alla Difesa durante l’Amministrazione Clinton nonché uno degli esponenti del pensiero liberal statunitense, definì “l’enigma nordcoreano” parlando di “power of weakness”, un potere dato dalla sua stessa debolezza. In pratica, secondo Nye, “la Cina vorrebbe evitare una Corea del nord belligerante e nuclearizzata, ma è ancora più preoccupata da uno stato al limite del collasso economico sul suo confine”. In caso di un cambio di regime, la Cina dovrebbe affrontare non soltanto i disordini e i profughi ma anche uno stato al collasso con circa venti miliardi di dollari di debito pubblico. E mentre le riforme economiche e di mercato a Pyongyang sono ancora molto timide, i tentativi di Pechino di moderare la crisi attuale sono vani perché “la sua influenza è limitata”. “Esiste un dialogo con la Cina da parte della Corea del nord –spiega Snyder al Foglio – ma non è stato mai chiaro se Pyongyang sia disposta ad ascoltare o conformarsi alle richieste di Pechino”. Per Snyder la centralità della questione nordcoreana sta nel fatto che “a differenza dell’Iran, sappiamo che Pyongyang possiede il materiale sufficiente per costruire bombe atomiche e ha già condotto due test nucleari, violando il Trattato internazionale di non proliferazione”. Ma sono due i passaggi di allontanamento diplomatico di Pechino: per la prima volta la Cina ha espresso “preoccupazione” per il lancio in programma, e due giorni dopo ha permesso ai profughi nordcoreani in territorio cinese di trasferirsi in Corea del sud.

    La strategia americana
    Quest’anno Tokyo ha bisogno dell’appoggio dell’America per portare il problema nordcoreano sul tavolo dell’Onu. Nel biennio 2009-2010, il Giappone faceva parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma per la minaccia missilistica di quest’anno ha bisogno di trovarsi un partner seduto tra i posti dei membri permanenti. E la conferma dell’appoggio americano è arrivata direttamente dal segretario alla Difesa, Leon Panetta, che qualche giorno fa ha auspicato una “reazione concertata al lancio del missile coreano” e ha detto di “comprendere” l’eventuale reazione giapponese nel caso di un missile che sorvoli il territorio dell’alleato. Il primo ministro giapponese, Yoshihiko Noda, ha dato il via libera all’esercito di abbattere il razzo in caso di pericolo per il Giappone. Il ministro della Difesa, Naoki Tanaka, il 30 marzo ha ordinato alle forze di autodifesa di intercettare e abbattere anche gli eventuali residui del razzo nordcoreano. Anche se per lo stesso governo di Tokyo “sono basse le probabilità che il razzo o i suoi detriti cadano sul territorio”, lo stato maggiore ha schierato missili Patriot (PAC-3) a difesa della capitale e in sette punti diversi della prefettura di Okinawa. La marina ha dispiegato tre cacciatorpediniere Aegis equipaggiate con gli Standard Missile-3 (SM-3), altri vettori intercettori. Questo dovrebbe garantire due livelli di difesa missilistica: l’SM-3 sarà utilizzato per intercettare un eventuale missile balistico al di fuori dell’atmosfera terrestre. Se l’intercettore non riesce a colpire il bersaglio, allora i PAC-3 sono in grado di abbatterlo non appena rientra nell’atmosfera.
    Alcuni quotidiani in questi giorni hanno definito “sproporzionata” la reazione militare giapponese all’eventualità di un test missilistico nordcoreano. In effetti, il dispiegamento di forze di sicurezza nella base americana di Okinawa è imponente. Quella stessa base che da anni i giapponesi stanno tentando di far chiudere, o di trasferire altrove, per via dell’impegno economico che grava sui residenti dell’arcipelago. Un alto funzionario statunitense, durante i colloqui sul nucleare a Seul, ha comunicato ufficialmente al governo di Camberra che la minaccia missilistica nordcoreana avrebbe potuto coinvolgere anche le coste australiane.
    E le speculazioni, a questo punto, sono facili. Per alcuni analisti l’America starebbe approfittando del lancio del missile programmato dalla Corea del nord per giustificare la propria presenza militare in Australia, in particolare per accelerare il trasferimento dei marine da Okinawa a Darwin.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.