Iniziato il processo per la strage di Oslo
Breivik e lo strano caso di uno psicotico capace di intendere e di volere
La questione infatti non è se Breivik fosse psicotico o meno al momento in cui uccise, ma che noi tutti, giudici, periti e spettatori, si ammetta che anche uno psicotico è capace d’intendere e di volere
La perizia che in questi giorni ha dichiarato il norvegese Anders Breivik sano di mente e capace d’intendere e di volere al momento della strage è azzardata come la prima perizia che assolveva lo stragista in quanto schizofrenico e pertanto incapace. Per fortuna questa seconda perizia dice anche altro: Breivik è imputabile del reato, è penalizzabile. La questione infatti non è se Breivik fosse psicotico o meno al momento in cui uccise, ma che noi tutti, giudici, periti e spettatori, si ammetta che anche uno psicotico è capace d’intendere e di volere.
La logica in cui ciascuno si trova non annulla la responsabilità e la colpa; le patologie psichiche che attraversano in qualche modo e misura tutti gli esseri umani vanno elaborate – è il dovere di ciascuno, la sua lotta, la sua responsabilità e gloria – e comunque tenacemente contrastate, soprattutto in quel che di malefico possono spargere all’esterno. Tutti annusiamo la voglia di sangue, ma tutti ne avvertiamo l’ingiustizia. Lo stato deve fare la sua parte, di prevenzione innanzitutto. E nello sventurato momento in cui dall’angoscia si restasse totalmente travolti – anche grandi anime lo furono, lo sono e lo saranno, anime che fino all’ultimo lottano contro il deserto creando opere immortali – lì, in quel momento, si gioca la partita finale: rivolgere l’arma contro se stessi, come fece Van Gogh, o contro l’altro o contro entrambi. E’ sempre una tristezza, ma fa la differenza.
Breivik l’arma l’ha rivolta contro un gruppo di ragazzi, li ha ammazzati – sostiene – per dare un esempio agli altri giovani, ha ucciso per salvare il suo paese. E’ un grande altruista, ha ucciso per far vedere a tutta la Norvegia cosa avrebbero potuto fare i musulmani, gli ebrei, i diavoli; cristicamente si è sostituito a costoro, ne ha preso su di sé i peccati a venire, e li ha mostrati al mondo in modo tale che si possa provvedere. E’ una logica grottesca ma stringente come un cappio, lascia senza fiato. D’altronde, se l’angoscia imperversa e non si ha la forza o l’occasione di uscirne, la morte può sembrare l’unico rimedio. Già, ma la morte di chi? Breivik non ha avuto dubbi: la morte degli altri. Ha pensato che la loro morte potesse dare una giustificazione alla sua esistenza, e l’angoscia ha via via ceduto il passo all’odio, che sistema le cose. L’odio è il rimedio dei pigri e degli accidiosi; evita l’impegno, suggerisce la facilitazione; l’odio indica il bersaglio il cui sacrificio rituale allevierà il tormento.
A lungo Breivik ha perfezionato il suo odio condendolo con droga razzista e superomista, poi, convinto, tronfio, stordito e insieme lucidissimo, è passato all’azione. E qui concludo. E’ pressoché impossibile scrivere di queste storie senza sentirsi un po’ strani. Quando poi si pensa di avere la risposta in tasca, d’avere capito più o meno tutto, di padroneggiare il discorso attribuendo con giustizia torti e ragioni, di essere perfettamente sani di mente e ci si congratula con se stessi, be’, proprio in quel momento ci si sente più scemi del solito; il tempo fuori è uggioso e sconfortante e sorge una gran voglia di cancellare quel che si è appena scritto. Via, spedisco la pagina!
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