Casini, Alfano (e Letta) provano a spegnere il fuoco dell'antipolitica

Salvatore Merlo

“Se qualcuno nei partiti pensa che Monti stia su un pianeta diverso dal suo si sbaglia e sta giocando con il fuoco”, dice Pier Ferdinando Casini. Guai a indebolire Monti, perché “anche nel ’94 c’era chi pensava di essere più furbo ma poi non gli è andata bene”. Il vertice dei leader di Pdl, Pd e Udc si apre oggi tra timori e allusioni. Dismesso il piglio da “dittatore commissario” che avanzava per decreto, l’azione del professore si è un po’ incartata tra le bizze dei partiti.

    “Se qualcuno nei partiti pensa che Monti stia su un pianeta diverso dal suo si sbaglia e sta giocando con il fuoco”, dice Pier Ferdinando Casini. Guai a indebolire Monti, perché “anche nel ’94 c’era chi pensava di essere più furbo ma poi non gli è andata bene”. Il vertice dei leader di Pdl, Pd e Udc si apre oggi tra timori e allusioni. Dismesso il piglio da “dittatore commissario” che avanzava per decreto, l’azione del professore si è un po’ incartata tra le bizze dei partiti. Nei sondaggi crescono i fenomeni antipolitici a là Grillo e la segreteria del Pd, su consiglio di Massimo D’Alema e sostenuta dalla linea di Repubblica, dà l’impressione d’essere disponibile a destabilizzare, con il governo tecnico, anche la partitocrazia. Persino il Pdl appare a tratti freddo, ostile sulla riforma Fornero. Circola un sospetto circostanziato: nel Pd coltivano l’ambizione di poter governare al più presto l’Italia con Vendola e Di Pietro. E’ ancora solo un retropensiero, certo, forse solo “una tentazione”, come dice Gaetano Quagliariello, ma è una tendenza che avanza sinuosa negli ambienti vicini a Rosy Bindi: disfarsi dell’equivoco Monti, lasciar naufragare la riforma elettorale per come la stanno discutendo Violante e Quagliariello, mollare la tela di sicurezza eurotecnica intessuta da Napolitano. “Guai”, dice Enrico Letta. “La riforma è solo quella di Violante e va fatta entro l’estate con quella del finanziamento ai partiti. Entro una settimana dobbiamo anche chiudere, con la fiducia,  la riforma del lavoro”.

    Ieri nel corso di un seminario a porte chiuse dell’Aspen, con Giulio Tremonti e Cesare Romiti, Monti è apparso più tranquillo che nei giorni scorsi, forse rassicurato dai colloqui informali alla vigilia dell’incontro con Alfano, Bersani e Casini. Ma l’equilibrio è delicato. “L’antipolitica la vinciamo solo se diamo una risposta di sistema. Nessuno si salva da solo. I partiti devono agire insieme sostenendo Monti e portando a compimento le riforme”, dice Alfano, che guida un partito battagliero sulla riforma del lavoro ma che pure percepisce lo stesso rischio avvertito da Casini e da Letta. Se cade Monti, crolla tutto.

    Il più preoccupato è forse Pier Ferdinando Casini, quello che più di tutti (e per primo) ha investito nell’operazione tecnocratica, e che già da tempo ha percepito uno strano “gioco di specchi” nel Pd intorno alla riforma elettorale (“terrò alta la guardia”, aveva detto). Adesso il leader dell’Udc avverte due tipi di rischio tra loro connessi: il pericolo “del più furbo” che pensa di potersi sfilare dalla maggioranza di governo, e il rischio dell’antipolitica, che “non va assecondata” perché travolgerebbe tutti “compresi quelli che ora pensano di potersene giovare”. Casini parla evidentemente ai suoi due colleghi segretari, Alfano e Bersani, che incontrerà oggi assieme a Monti. Ma guarda soprattutto agli alleati (veri o potenziali) di Pd e Pdl: Vendola, Di Pietro, Bossi. Tutti all’opposizione. L’antipolitica “è una malattia figlia della paura”, dice Casini, “e chi semina vento poi raccoglie tempesta. Non c’è nessuno che alla fine viene risparmiato”. E si riferisce anche ai recenti proclami antipartito di Libertà e Giustizia, l’associazione politico-filosofica finanziata da Carlo De Benedetti e talvolta ospitata sulle pagine di Repubblica (sospettata a sua volta di eterodirigere una parte del Pd). C’è una perniciosa convergenza a destabilizzare gli equilibri. “Ma l’antipolitica la si combatte in un solo modo. Ovvero facendo politica, correggendo certe abitudini sbagliate e governando i fenomeni”, insiste Casini. Un invito forte al Pd e al Pdl (“che sul finanziamento dei partiti nei giorni scorsi ha molto sbagliato”).

    Insomma, Casini dice che se i partiti vogliono resistere al vento che potrebbe spazzarli via, allora devono stringersi attorno al governo tecnico e rinunciare all’idea che si possa utilizzare Monti per bastonare l’avversario di un tempo o consumare piccole vendette. Angelino Alfano, che ha ereditato da Berlusconi la guida del complicato Pdl, sembra d’accordo, malgrado nel suo partito in molti siano scontenti (eufemismo) dell’evoluzione della riforma Fornero sul mercato del lavoro. Il segretario del Pdl (come pure il Cavaliere) sa che non c’è nessuna alternativa possibile a Monti e da ex democristiano – nonostante la giovane età – si ricorda bene e con orrore della stagione del 1992-1993. “La storia tende a ripetersi”. E perché non si ripeta “dobbiamo contrappore i fatti all’antipolitica. Dobbiamo stare con Monti, lealmente, pur con piglio propositivo e facendo anche valere le nostre opinioni. Dobbiamo portare a compimento la riforma elettorale, istituzionale e del finanziamento dei partiti”.

    Ma si farà davvero questa riforma elettorale? “Nel Pd c’è la tentazione di lasciare decantare tutto. Ma per adesso è solo una tentazione. Dal mio punto di osservazione vedo un lavoro serio”, dice Gaetano Quagliariello, il vicecapogruppo del Pdl in Senato, che la riforma la sta scrivendo con Luciano Violante (del Pd). Ma Quagliariello aggiunge anche delle parole che suonano come un allarme: “Il Partito democratico è di fronte a un bivio. Deve scegliere tra le urne anticipate, assumendosi la responsabilità di far cadere Monti, e la nuova legge. Vedremo. Oggi presentiamo in Senato la riforma istituzionale bipartisan. Quella elettorale siamo in grado di farla entro dieci giorni da domani, se non la faremo sarà chiaro il decorso degli eventi successivi”. Crisi di governo. Si tratta di timori non irrazionali, diffusi anche nelle file dello stesso Pd dove l’ala più montiana osserva l’indebolirsi del professore a Palazzo Chigi e forse sospetta di alcuni colleghi di partito. “Monti, Alfano, Bersani e Casini da oggi in poi devono riunirsi una volta a settimana, come il Consiglio dei ministri. Magari ogni lunedì a pranzo”, suggerisce Enrico Letta.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.