La Lega forse ce la fa

Maurizio Crippa

Passata, almeno provvisoriamente, la notte delle streghe e anche quella delle scope, si comincia la conta dei danni e finalmente a parlare del futuro politico della Lega, che poi è la cosa che conta. Domenica Renato Mannheimer sul Corriere della Sera ha indicato un crollo al 6,6 per cento dei suoi consensi, rispetto al trionfale 10 per cento delle europee 2009.

    Passata, almeno provvisoriamente, la notte delle streghe e anche quella delle scope, si comincia la conta dei danni e finalmente a parlare del futuro politico della Lega, che poi è la cosa che conta. Domenica Renato Mannheimer sul Corriere della Sera ha indicato un crollo al 6,6 per cento dei suoi consensi, rispetto al trionfale 10 per cento delle europee 2009. Secondo Mannheimer difficilmente la Lega sopravviverà, stante che il declino di consensi era iniziato ben prima degli scandali e che ad abbandonare il Carroccio sono “in misura maggiore gli elettori più giovani, gli operai e (ma un po’ meno) i pensionati”, cioè proprio l’elettorato che la Lega si era guadagnata negli ultimi anni. Ieri, su Repubblica, uno specialista di Lega come Ilvo Diamanti ha scritto invece che “c’è troppa fretta di liquidare la Lega. Come si trattasse di una storia finita”. E ha elencato una serie di “buone ragioni” che possono consentire al movimento di “resistere sulla scena politica ed elettorale ancora a lungo”. Il radicamento territoriale, la base fedele e attiva (uno zoccolo duro del 4-5 per cento). Il ruolo di unica opposizione al governo Monti e il fatto (notevole) che nessun altro partito può beneficiare del suo calo, tranne forse Beppe Grillo.

    Che fine farà la Lega? Può essere strozzata dal suo stesso cappio antipolitico? Può morire per aver tradito la mission? O può resistere proprio in nome di quella, ancora non realizzata, mission? Domande a cui con buona dialettica ha provato a rispondere Roberto Maroni, intervistato dal Corriere. Cercando di esorcizzare i rischi di balcanizzazione (“Verrà un nuovo assetto… un segretario davvero federale. Che tenga insieme il partito”) e rilanciando il ruolo storico del movimento: “La questione settentrionale è lì, intatta. Dobbiamo attrezzarci per essere ancora noi a rappresentarla”. Un punto di vista coincidente con quello di Stefano Bruno Galli, politologo alla Statale di Milano, sicuro che per la Lega “lo spazio politico c’è ancora”, perché questo spazio corrisponde con le esigenze economiche delle regioni del nord “che nessuno le difende”.

    Tra i dubbiosi Paolo Feltrin, politologo a Trieste e antico conoscitore della Lega, che ha scritto che la Lega potrebbe “fare la fine del Psi”. Al Foglio, spiega perché: “Un partito sopravvive se ha regole istituzionali certe e condivise per la successione interna. Qui il rischio è che qualche componente ceda alla tentazione di proseguire sulla via del ricambio attraverso una impropria via giudiziaria. E’ quello che è costato la vita al Psi”. Ma secondo Feltrin il problema della Lega è tutto politico: “Fare un partito regionale non è difficile, purché non pretenda di rappresentare una regione troppo grande. La Baviera è il 15 per cento della Germania, la Catalogna il 16 della Spagna. Si può fare un partito territoriale che poi cerca alleanze e collocazione nazionale. Ma se pretendi di rappresentare 28 milioni di italiani, mezza Italia, il bivio è tra essere un partito a vocazione nazionale, o essere un partito secessionista. E Maroni ora parla di modello cecoslovacco”. In fondo, la Lega ha provato per un po’ a farsi nascere una vocazione nazionale: “Ma adesso deve decidere. Bossi, avendolo capito, ha giocato per anni sull’ambiguità. Ora Maroni dovrà scegliere”. C’è poi un problema di collocazione che rende difficile il “ritorno alle origini” di Maroni: “La Lega dell’inizio era antipolitica, né di destra né di sinistra. Ora è un partito di destra con qualche spunto di sinistra, l’antipolitica la fa Grillo”. Alessandro Alfieri guida in consiglio regionale il Pd. Federalista convinto, ha promosso un recente convegno, a Varese, sul fallimento del modello leghista.. La vede un po’ come Diamanti, ma specifica: “Alla Lega oggi può rimanere lo zoccolo duro, quello identitario, anti islam. Ma si sono persi i temi su cui per anni hanno avuto il monopolio del mercato politico: federalismo, fisco, anti burocrazia”. Ritiene che in futuro la Lega soffrirà la concorrenza da parte di un Pd più attento e attrezzato, e farà molta fatica a recuperare mercato e collocazione, su un terreno su cui ha perso credibilità. Come dice Maroni: “In questi dieci anni siamo rimasti un po’ indietro. Dobbiamo ridefinire le nostre proposte su ambiente, energia, banche, piccole e medie imprese”.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"