Le spie vogliono incastrare i marò
Agenti dei servizi indiani che fanno base all’ambasciata del governo di Nuova Delhi a Roma sono a caccia di informazioni sui marò e di un esemplare di fucile d’assalto Beretta Arx-160 e anche di alcuni proiettili o almeno di qualche bossolo. La presenza di spie in ambasciata è una cosa naturale: in tutto il mondo i servizi segreti all’estero fanno riferimento alle proprie sedi diplomatiche. Questo tipo di indagine è invece più insolito e gli agenti si sono fatti notare.
Agenti dei servizi indiani che fanno base all’ambasciata del governo di Nuova Delhi a Roma sono a caccia di informazioni sui marò e di un esemplare di fucile d’assalto Beretta Arx-160 e anche di alcuni proiettili o almeno di qualche bossolo. La presenza di spie in ambasciata è una cosa naturale: in tutto il mondo i servizi segreti all’estero fanno riferimento alle proprie sedi diplomatiche. Questo tipo di indagine è invece più insolito e gli agenti si sono fatti notare. L’ambasciata può spedire il frutto delle ricerche in patria con un bagaglio diplomatico non soggetto a controlli.
L’operazione su territorio italiano coincide con un’impasse inspiegabile nel processo ai due militari del reggimento San Marco in carcere con l’accusa di omicidio. Il fatto è avvenuto il 15 febbraio al largo delle coste del Kerala. Le prime indiscrezioni sulle perizie balistiche eseguite sulle armi sequestrate a bordo della petroliera Enrica Lexie sono trapelate un mese più tardi, a metà marzo. Oggi sono passati due mesi: i risultati degli esami non sono ancora ufficiali e potrebbero non esserlo fino alla fine di maggio, perché venerdì scorso è cominciata la sospensione dei lavori negli uffici per le “vacanze di primavera” dello stato indiano. Non in Italia però e questo è un mistero a lato: perché il ministero degli Esteri non si fa sentire e non sollecita i risultati definitivi e ufficiali su armi che sono in mano agli indiani da due mesi? Intanto ieri i giudici con una manovra dilatoria hanno prolungato di altri 14 giorni la detenzione di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
Perché le spie indiane sono costrette ad attivarsi in Italia? Le indagini ufficiali si sono infilate in una strada senza uscita per colpa di risultati balistici senza senso. Prima il professor Sisikala, anatomopatologo del tribunale, ha sostenuto dopo l’autopsia – compiuta il giorno seguente la morte dei due pescatori, il 16 febbraio – di avere recuperato un proiettile di cui è stato indicato non il calibro e la lunghezza in millimetri, come si fa di solito, ma la circonferenza in centimetri. Per il perito Luigi Di Stefano, intervistato dal direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, non ci sono dubbi: è un proiettile 7,62x54R, sparato da un’arma di fabbricazione sovietica e sicuramente non un proiettile calibro 5,56x45 in dotazione alle forze italiane. Poi è successo che la responsabile del dipartimento di balistica di Trivandrum, N.G. Nisha, ha detto all’agenzia Ansa che le armi che hanno ucciso i pescatori sono due fucili d’assalto Beretta Arx-160. Il problema è che si tratta di modelli avanzati, assegnati per una valutazione sul campo ai reparti speciali impegnati in Afghanistan e anche al reggimento San Marco da cui provengono i due marò – ne ha alcuni in prova ma non li ha ancora adottati. A bordo della petroliera le autorità indiane hanno sequestrato sei fucili di modello meno avanzato, i Beretta Ar 70/90, e due mitragliatrici leggere di fabbricazione belga Fn Minimi, pure quelle nella normale dotazione dei marò. Eppure, dopo avere testate tutte le armi sequestrate, i periti balistici indiani sostengono che a sparare sarebbero stati i nuovi Arx-160 (e come si spiega che i proiettili trovati dal dottor Sisikala nei corpi sono di un calibro differente?). Dalle perizie sono stati concretamente esclusi gli esperti dei carabinieri mandati dall’Italia, ammessi a parte degli esami e soltanto come osservatori senza diritto di parola.
Dalle informazioni sullo spionaggio in Italia alla vicenda inspiegabile dei risultati balistici, la Farnesina ha scelto la strada: adottiamo un profilo dimesso, saremo premiati. Non soltanto affida la strategia di difesa al difetto di giurisdizione e non anche ai fatti materiali, ma rilascia dichiarazioni che non metteranno mai in crisi Nuova Delhi: “Le armi onestamente potrebbero anche non essere appartenute al contingente italiano”, ha detto il ministro degli Esteri, Giulio Terzi di Sant’Agata, il 5 aprile scorso. Il sottosegretario Staffan De Mistura sospira: “Prevedo una soluzione non a breve termine, che deve essere anche politica”. Anche se è chiara l’intenzione degli indiani di imporsi su una questione internazionale con un atto di forza.
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