I problemi di Monti-ABC

L'insania moralista di Berlino non si può battere in un paese solo

Stefano Cingolani

Olivier Blanchard, economista capo del Fmi, un francese post keynesiano che ha insegnato a Harvard, spiega: “Il rischio maggiore che pesa sull’economia mondiale è l’Europa”, cioè la sua frattura interna aumentata da una austerità fiscale che genera a sua volta recessione. A chi gli chiede se prima o poi uno dei paesi più deboli uscirà dall’euro, Blanchard risponde: “Non abbiamo un piano B. Lavoriamo perché ciò non accada”. Il Foglio sostiene che la via maestra è “ridiscutere le condizioni di vita dell’euro”.

Leggi Senza ridiscutere le condizioni di vita dell’euro, è tutto inutile di Giuliano Ferrara

    Olivier Blanchard, economista capo del Fmi, un francese post keynesiano che ha insegnato a Harvard, spiega: “Il rischio maggiore che pesa sull’economia mondiale è l’Europa”, cioè la sua frattura interna aumentata da una austerità fiscale che genera a sua volta recessione. A chi gli chiede se prima o poi uno dei paesi più deboli uscirà dall’euro, Blanchard risponde: “Non abbiamo un piano B. Lavoriamo perché ciò non accada”. Il Foglio sostiene che la via maestra è “ridiscutere le condizioni di vita dell’euro”. E questo è il compito specifico del governo italiano, la proiezione estera della sua politica economica interna. Per esempio, aprendo un canale con Francia e Spagna affinché i vincoli fiscali vengano spostati al momento in cui comincerà la ripresa. E sia consentito alla Banca centrale europea (Bce) di stampare moneta per sostenere l’economia.

    Il patto europeo che costringe a ridurre il debito pubblico per convergere verso il mitico 60 per cento fissato nel Trattato di Maastricht, non va rimesso in discussione. Il fiscal compact non è la tela di Penelope. Ma si possono esaminare con realismo tempi, modi, ritmi di questo cammino a ritroso dal vizio alla virtù. E’ già accaduto nel 2003, quando la Germania era in serie difficoltà insieme alla Francia, mentre Italia e Spagna se la cavavano decisamente meglio. La coppia renana ottenne da quella mediterranea una boccata d’ossigeno, rinviando la riduzione dei disavanzi che sforavano ampiamente il limite del 3 per cento stabilito dal Patto di stabilità. E passò il criterio che occorre tener conto della congiuntura. Oggi è valido ancor più di allora, perché in crisi è l’intera Europa.

    Mariano Rajoy, capo del governo spagnolo, non è in grado di portare il deficit pubblico entro i limiti del patto, perlomeno ai ritmi concordati mesi fa dal governo che lo ha preceduto. Lo ha detto con candore ed è stato attaccato dagli operatori finanziari che manovrano lo spread. La Spagna boccheggia e rappresenta ormai il vero tallone d’Achille.

    Quanto all’Italia, la stangata d’inverno, più la super patrimoniale sulla casa chiamata Imu, hanno contratto la domanda interna. Il problema non viene dal disavanzo che al netto degli interessi è in equilibrio, ma dal servizio sul debito pregresso (arrivato al 120 per cento del pil, ha calcolato la Banca d’Italia, mentre secondo le bozze del Def il rapporto debito/pil toccherà quest’anno il 123,4 per cento per poi scendere al 121,6 per cento l'anno prossimo). Quel costo è in parte esogeno perché dipende dalla Germania, la quale continua a godere di tassi negativi, assorbe capitali e aumenta il surplus della bilancia estera a quote superiori persino alla Cina (4,9 per cento del prodotto lordo rispetto al 2,1).

    E’ una contraddizione che coinvolge la stessa Francia. Gli interessi sugli Oat, le obbligazioni del Tesoro, sono saliti al 2,9 per cento, perché il deficit pubblico continua a crescere: con il 4,7 per cento è il peggiore dopo Grecia e Spagna (l’Italia resta attorno ai due punti). I mercati temono gli esiti di una campagna elettorale segnata in modo pesante dagli opposti estremismi: a destra quello di Marine Le Pen, a sinistra quello di Jean-Luc Mélenchon. L’una e l’altro condizionano Nicolas Sarkozy e François Hollande, li spingono a titillare gli indignati euroscettici. Hollande ha già annunciato un cambiamento nella politica economica a favore della crescita. Ma nemmeno un “Sarko 2” potrebbe più seguire le orme del primo.

    Dunque, secondo molti osservatori è il momento di sviluppare una iniziativa politico-diplomatica che agganci Spagna e Francia, proponendo un new deal nell’eurozona. Si tratta, insomma, di non procedere in ordine sparso con il rischio di mettere il collo sotto la ghigliottina di Lady Spread. Il sottostante di questo patto sta nella credibilità europeista di Monti e nelle credenziali di un’Italia la quale, pur nelle eterne convulsioni del suo melodramma politico, ha ingoiato un taglio delle pensioni che i francesi non avrebbero mai accettato, oltre a una flessibilità del mercato del lavoro maggiore di quella transalpina (forse la Confindustria ha ragione di lamentarsi, ma l’articolo 18 ormai è politicamente finito). Dopo la lettera dei willing sulle liberalizzazioni, potrebbe partire adesso una lettera per la ripresa.

    Intanto, il giorno in cui il Senato della Repubblica approva la regola aurea, cioè il pareggio del bilancio nella Costituzione, l’Italia rinvia pare di un anno l’obiettivo. Sarebbe questa la novità contenuta nel documento economico e finanziario anticipato ieri sera dalla Reuters. Il deficit pubblico tocca l’1,7 per cento del prodotto lordo nel 2012 e resterà a meno 0,5 nel 2013 per arrivare al “sostanziale pareggio” (meno 0,1) solo nel 2014. Il debito sul pil sale a quota 123,4 e scende a 121,6 l’anno prossimo. L’economia si contrarrà di 1,2 punti, più di quanto il governo aveva previsto in precedenza, ma meno rispetto alle stime del Fondo monetario internazionale che vede una recessione dell’1,9 per cento e un dato negativo anche nel 2013 (meno 0,3). Il vicedirettore della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni, ha confermato che, pur con un disavanzo di 0,5, il cammino verso l’equilibrio è assicurato. Il bollettino di palazzo Koch solleva però due grandi incognite, entrambe esogene: i tassi di interesse e la domanda internazionale. Dunque, la manovra bis, sempre negata dal governo, non è scongiurata. Di una vera e propria fase due, imperniata sul rilancio della crescita, si parla solo in termini molto generici. Il rinvio del pareggio viene subito come una  necessità, invece potrebbe diventare una opportunità.

    Nel suo outlook di primavera, il Fmi mostra un’Eurozona in recessione, ma pronta a rimbalzare. Solo che resta nettamente divisa in due. “In Grecia e in Portogallo – si legge – dove l’aggiustamento sotto i programmi congiunti di Ue e Fmi continua, e in Italia e Spagna, dove lo spread sui rendimenti rimane elevato a dispetto degli sforzi effettuati per il risanamento dei conti, la recessione sarà più profonda. Si attende che la ripresa ricominci solo nel 2013”. Parole chiare. La politica di rigore, necessaria per ridurre i tassi di interesse, prolunga la recessione di almeno sei mesi. La disoccupazione aumenta anche in Italia, dove si era realizzato il miracolo di mantenerla sotto la media europea grazie agli impieghi con contratti a tempo determinato e a un uso molto ampio della cassa integrazione.

    Leggi Senza ridiscutere le condizioni di vita dell’euro, è tutto inutile di Giuliano Ferrara