Sballottati dall'utopia
C’è qualcosa nelle nostre vite singolari, cioè nelle vite che ognuno di noi normalmente fa tutti i giorni, che per sua virtù propria ha il potere di sbalestrare qualsiasi discorso”, scrive Ugo Cornia nel prologo di un memorabile libretto di Alfredo Gianolio che si intitola “Vite sbobinate”. “Nei fatti noi, – continua Ugo Cornia, – quasi tutti, non siamo altro che delle collezioni ambulanti, una collezione di cose in bilico dove ci sta dentro un po’ di tutto, un po’ di prati, pioppeti, lavori, hobby, nuvole, carriole del nonno, automobili, mamme”.
C’è qualcosa nelle nostre vite singolari, cioè nelle vite che ognuno di noi normalmente fa tutti i giorni, che per sua virtù propria ha il potere di sbalestrare qualsiasi discorso”, scrive Ugo Cornia nel prologo di un memorabile libretto di Alfredo Gianolio che si intitola “Vite sbobinate”. “Nei fatti noi, – continua Ugo Cornia, – quasi tutti, non siamo altro che delle collezioni ambulanti, una collezione di cose in bilico dove ci sta dentro un po’ di tutto, un po’ di prati, pioppeti, lavori, hobby, nuvole, carriole del nonno, automobili, mamme”.
Non so bene perché, ma a leggere “La sponda dell’utopia” di Tom Stoppard, appena pubblicato da Sellerio per la traduzione di Marco Tullio Giordana e Marco Perisse, mi venivano in mente continuamente queste due frasi di Cornia, forse perché Stoppard, nelle tre parti che compongono il libro, “Viaggio” (dal 1833 al 1844), “Naufragio” (dal 1846 al 1852) e “Salvataggio” (dal 1853 al 1868), è come se srotolasse e giustapponesse le vite di quattro personaggi principali, Michail Bakunin, Vissarion Belinskij, Aleksandr Herzen e Ivan Turgenev, e di innumerevoli personaggi che vien da definire secondari anche se, tra di loro, ce ne sono alcuni, come Puskin, Gogol’ o Marx, che, visti dal nostro punto di vista, di secondario hanno poco, ma Stoppard li mette in scena da vivi, quando ancora non erano, del tutto, Puskin, Gogol’ o Marx, e allora succede per esempio di sentire Marx che chiede a Turgenev: “Lei è uno scrittore. Pensa che ci sia qualcosa di bizzarro nel dire ‘lo spettro del Comunismo?’. Non vorrei che suonasse come se il comunismo fosse morto”.
Il testo di Stoppard è punteggiato di queste scene comiche che ricordano, data la caratura, come si dice, dei protagonisti, alcune delle “Scene dalla vita di Puskin” di Daniil Charms come per esempio la numero quattro e la numero otto:
4. Turgenev, voleva essere coraggioso come Lermontov, è andato a comprare una sciabola. Puskin, passava vicino al negozio, l’ha visto dalla finestra. Allora s’è messo a gridare, apposta: – Guarda ve’, Gogol’ – (ma con lui Gogol’ non c’era). – Guarda ve’, c’è Turgenev che compra una sciabola. Compriamo un fucile, io e te – Turgenev, s’è spaventato, quella stessa notte è partito per Baden-Baden.
8. Puskin, non è che fosse pigro, era un po’ un posapiano. Turgenev, sembrava avesse il ballo di San Vito, era sempre vittima del bisogno di una qualche attività. Puskin delle volte se ne approfittava. Succedeva che era steso sul divano, entrava Turgenev, Puskin gli diceva Ivan Sergeevic, non per convenienza ma per benevolenza, non andreste a prendermi una birra? E poi tranquillo si riaddormentava. Sapeva, che non c’era il caso che Turgenev tornasse. Che lui, delle volte correva a firmare una petizione, delle volte a un raduno di nichilisti, delle volte a un funerale civile. Oppure delle volte prendeva paura di qualcosa, partiva per Baden-Baden. Di restar senza birra Puskin non aveva paura. Grazie a dio, c’erano i servi della gleba. C’era, qualcuno da mandare.
O, sempre di Charms, le “Scene dalla vita di Tolstoj”, per esempio la numero uno, la numero due e la numero cinque:
1. Lev Tolstoj amava molto i bambini, e non gli bastavano mai. Gliene portavano delle stanze piene, che non si poteva neanche camminare, e lui continuava a gridare Ancora! Ancora!
2. Lev Tolstoj amava i bambini, ma i grandi non li poteva sopportare, soprattutto Herzen. Come lo vedeva, gli saltava addosso col bastone, cercava di picchiarlo negli occhi. E quello lì, faceva finta che non se ne accorgeva. Diceva: – Oh, Tolstoj, oh!
5. Lev Tolstoj e F. M. Dostoevskij avevan scommesso su chi tra loro avrebbe scritto il romanzo più bello. A far da giudice avevano chiamato Turgenev. Tolstoj era corso a casa, si era chiuso nello studio e aveva cominciato a scrivere. Di bambini, naturalmente (li amava molto). Dostoevskij invece è a casa sua che pensa: Turgenev è uno pauroso. Adesso è a casa sua e pensa: Dostoevskij è uno nervoso. Se dico che il suo romanzo è il più brutto, è capace di ammazzarmi, perfino. Cosa mi sforzo a fare? (questo lo pensa Dostoevskij). Il romanzo lo scrivo male, apposta, la grana me la becco comunque (avevan scommesso cento rubli). Nello stesso momento Turgenev è a casa sua e pensa: Dostoevskij è uno nervoso. Se dico che il suo romanzo è il più brutto, è capace di ammazzarmi, perfino. D’altra parte Tolstoj è un conte. Anche con lui è meglio evitare polemiche. Ma che vadano… E quella stessa notte, di nascosto, è partito per Baden-Baden.
Memorabile, nell’opera di Stoppard, la figura di Belinskij, che a un certo punto, quando i suoi amici cercano di convincerlo a non tornare in Russia, dove l’aspettano la censura e la galera, forse, ma a restare in Francia, risponde: “Non avrebbe alcun senso… In questo strepito di scribacchini e di celebrità… che riempiono ogni giorno le loro colonne di muggiti, piagnistei e starnazzi… come uno zoo dove sono le foche a tirare pesci al pubblico. Nessuna serietà. In patria la gente guarda agli scrittori come ad autentici capi. Essere poeta o romanziere è un titolo che conta davvero. I miei articoli sono massacrati dalla censura, ma una settimana prima che esca il Contemporaneo gli studenti girano attorno alla libreria Smirdin chiedendo continuamente se è arrivato… e poi li discutono nel cuore della notte, se li passano tra loro… Gli scrittori di qui pensano di godere del successo. Non hanno idea di cosa sia il successo. Dovrebbero fare gli scrittori in Russia. Se soltanto sapessero, farebbero armi e bagagli per Mosca e San Pietroburgo”.
Va detto, infine, che “La sponda dell’utopia” è un’opera teatrale, che si legge con lo stesso piacere con cui si leggono gli “Spetcacles dans un fauteuil” di Alfred de Musset, sembra scritta apposta per essere letta, anche se, leggendo l’annuncio, in bandella, della sua messa in scena (primavera 2012), a Torino e a Roma, per la regia di Marco Tullio Giordana, viene da chiedersi in che modo queste quattrocento pagine diventeranno uno spettacolo teatrale, e quasi ci si dimentica che, probabilmente, nascono, come spettacolo teatrale, tanto bene si sono travestite da libro, se così si può dire.
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