Bordelli, 007, escort, tropici

Paola Peduzzi

Bordelli, agenti della Cia, escort orgogliose di non essere prostitute (“è lo stesso, ma è diverso”), cittadine tropicali, capitali in guerra, funzionari in missione, pompini, ehm, sui tetti delle ambasciate. L’America degli scandali militar-diplomatici – no, Barack Obama non c’entra, si sa che vive con una signora che lo farebbe a pezzi e lo butterebbe nel Potomac al primo sguardo sbagliato – “non è al suo massimo”, scrive severo il Wall Street Journal, ma riesce lo stesso a farci sentire meschini e volgarotti con il nostro chiacchiericcio pettegolo permanente.

    Bordelli, agenti della Cia, escort orgogliose di non essere prostitute (“è lo stesso, ma è diverso”), cittadine tropicali, capitali in guerra, funzionari in missione, pompini, ehm, sui tetti delle ambasciate. L’America degli scandali militar-diplomatici – no, Barack Obama non c’entra, si sa che vive con una signora che lo farebbe a pezzi e lo butterebbe nel Potomac al primo sguardo sbagliato – “non è al suo massimo”, scrive severo il Wall Street Journal, ma riesce lo stesso a farci sentire meschini e volgarotti con il nostro chiacchiericcio pettegolo permanente. Ci sono le spie e le puttane e il caldo torrido e i vestiti (pochi) appiccicati addosso, lo vedete già il film, no?

    Cartagena era la prima città dell’Impero spagnolo in Sud America, la perla dei Caraibi da cui partiva tutto l’oro raccolto nel continente per attraversare l’oceano e arrivare in Spagna. Con le sue mura meravigliose ben visibili dal mare, questa città fortificata della Colombia è un enorme villaggio in cui tutti sanno tutto di tutti. La Cia, che di mestiere mantiene segreti o se li fa spifferare da altri, è rimasta impigliata in uno scandalo di escort proprio qui, a Cartagena, nel paradiso del pettegolezzo. Almeno undici dipendenti dei servizi segreti e dieci del personale militare (esperti di esplosivi) sono coinvolti: una notte di alcol e sesso, quella dell’11 aprile, due giorni prima che arrivasse Obama per un summit internazionale (quello in cui anche Hillary Clinton poi si è divertita: una birra e un ballo, e già c’era un “cervezagate” pronto per le prime pagine dei tabloid: un’ingiustizia, la nuova vita della segretaria di stato è bellissima, ci mancherà). Questi erano gli uomini che dovevano garantire la protezione del presidente, e invece.

    Il reporter del New York Times inviato a Cartagena, William Neuman, non ha faticato molto a trovare la ragazza che ha fatto scoppiare questo caos (che potrebbe essere benissimo pagata dai narcos, sostiene qualcuno, per gettare discredito sugli yankee). “Baby, my cash money” è la frase che riassume tutto, una notte di allegria e sesso, finita la mattina dopo con un pagamento da trenta dollari, quando il prezzo pattuito la sera prima era “25 volte quella cifra”, registra il New York Times. Con il tono con cui il quotidiano racconterebbe un incidente stradale – nessuna moralizzazione, nessun aggettivo di troppo, nessuna colpevolizzazione, nessun affanno – il cronista si fa raccontare quel che è accaduto all’Hotel Caribe. La escort ribelle parla seduta nel suo tinello, con la minigonna e le zeppe di corda, racconta di essere stata abbordata, assieme a un’amica, da un gruppo di americani in discoteca e invitate a bere vodka al loro tavolo: “Non mi hanno mai detto che erano con Obama, erano molto discreti”. Uno di loro l’ha invitata ad andare all’albergo, lei si è fermata a comprare i preservativi, poi gli ha detto che meritava un regalo, stabilito in 800 dollari, perché una come lei “ha un rank più elevato – dice – Una escort può essere portata fuori a cena da un uomo, sa vestirsi bene, sa truccarsi, sa comportarsi e parlare come una signora. ‘That’s me’”, dice la ragazza ventiquattrenne (che ci tiene molto alla distinzione tra prostitute ed escort, “è lo stesso, ma è diverso – spiega – è come quando compri un buon rum o un BlackBerry o un iPhone: hanno prezzi diversi”). Alle sei e mezza, quando il concierge ha telefonato per dire che doveva andarsene “stando alle regole dell’albergo per le prostitute” (!), l’americano ha detto che la sera prima era ubriaco e che non le avrebbe mai dato tutti quei soldi, liquidandola con 30 dollari e molte imprecazioni. La ragazza ha pianto, è andata nella hall dell’albergo, ha trovato un’amica che anche lei non era stata pagata a sufficienza, hanno mercanteggiato, hanno abbassato il prezzo a 250 e con monete e banconote locali e un po’ di dollari, per un totale pari a 230, se ne sono andate. Ora la ventiquattrenne non vuole collaborare con le inchieste, dice che vuole lasciare presto Cartagena, ma intanto la Cia sta indagando anche sul passato, per vedere se ci sono stati episodi simili mai spifferati.

    Gli agenti coinvolti intanto sono stati sottoposti alla macchina della verità: se si è visto “Homeland”, serie tv paranoica sulla Cia che ha appassionato anche Obama, si sa che si può mentire anche alla macchina della verità, ma questo non è il caso. Gli interrogati piangono come bambini, ripetono “ero ubriaco”, fate finire questa storia ora. E se è vero quel che si dice in giro, i loro desideri saranno presto esauditi. Perché c’è qualcosa di meglio da raccontare. Peter Van Buren, ex funzionario del dipartimento di stato, ha scritto un libro pieno di pettegolezzi dal titolo “We meant well. How I helped lose the battle for the hearts and minds of Iraqi people” al quale ha aggiunto un post sul suo blog due giorni fa: “Che cosa accadrebbe se esistesse un video che mostra un personaggio importante del dipartimento di stato sul tetto del Palazzo repubblicano a Baghdad, che riceve, uhm, un piacere di natura orale da una collega del dipartimento di stato che non è sua moglie e nemmeno la giornalista che a quel tempo era la sua amante?”. Pare che il video sia già circolato. Pare – ma è solo un’ipotesi, ventilata anche da Michael Hastings, il cronista del Rolling Stones che ha fatto dimettere il generale McChrystal – che l’uomo fortunato sia Brett McGurk, tosto diplomatico arruolato nella Sicurezza nazionale di Bush ora destinato, ancora ufficiosamente, a tornare a Baghdad, sotto quel tetto, come ambasciatore di Obama in Iraq.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi