Dal Foglio del lunedì

Curriculum televisivo, voglio il premio “non è giornalismo”

Giuliano Ferrara

Breve curriculum televisivo dell’elefante. 1987: il compianto Antonio Ghirelli direttore socialista del Tg2 mi chiama e mi dice: “Per Craxi sei troppo grasso, ma secondo me se spieghi la politica a mezzanotte nel mio Tg può essere non male”.  Facevo la nota politica del Corriere, all’epoca, dove Piero Ostellino mi aveva chiamato su suggerimento di Alberto Ronchey, amico di famiglia da una vita (traffico d’influenza?), ed ero reduce dalla nota politica di Reporter.

Leggi i tweet dell'Elefantino 

    Breve curriculum televisivo dell’elefante. 1987: il compianto Antonio Ghirelli direttore socialista del Tg2 mi chiama e mi dice: “Per Craxi sei troppo grasso, ma secondo me se spieghi la politica a mezzanotte nel mio Tg può essere non male”.  Facevo la nota politica del Corriere, all’epoca, dove Piero Ostellino mi aveva chiamato su suggerimento di Alberto Ronchey, amico di famiglia da una vita (traffico d’influenza?), ed ero reduce dalla nota politica di Reporter, il quotidiano ex Lotta Continua che durò un anno, nel 1985, e fu chiuso signorilmente da Berlusconi e Massari, pagando i debiti fino all’ultima lira con il meccanismo delle bare fiscali (incontrammo i boss del tempo con Enrico Deaglio, cognato della Fornero, nell’ufficio malfamato di Bettino a Piazza Duomo, Berlusconi aveva appena comprato il Milan, era radioso, un poco burino, simpaticissimo nei suoi rapporti di imprenditore in grande ascesa con il capo socialista che aveva spadroneggiato politicamente nell’Italia dei primi anni 80). Lavoravo anche come editorialista all’Europeo diretto all’epoca da Lanfranco Vaccari. Poi lavorai a lungo per il gruppo Mondadori-De Benedetti, prima che il Cav. gli facesse lo scherzo di comprare le azioni degli eredi. Ebbi fortuna perché appena arrivai in video scoppiò una crisi di governo bestiale, lo scontro Craxi contro De Mita per via della staffetta, insomma saltò tutto per aria ma il percorso fino alle elezioni fu lungo incandescente misterioso e divertente. Raccontavo tutto e la cosa piacicchiava perché si sapeva quello che pensavo e si vedeva che non avevo remore nell’analisi abbastanza bene informata della realtà. Cresceva l’esercito dei nemici di quell’ex comunista che rompeva i coglioni al partito di Repubblica e della Dc in un italiano non troppo pacchiano ma popolare imparato nelle esigenti assemblee di fabbrica della Torino anni 70, oltre che a scuola.

     Finita la nota notturna al Tg1 mi chiamò Angelo Guglielmi, establishment Rai di sinistra, Gruppo ’63, e mi fece fare un provino per una trasmissione di tv realtà inventata da Lio Beghin, compianta figura di autore e programmatore Rai, uomo stupendo di cultura cattolica di sinistra, ma innamorato del mestiere. Il provino andò bene, e con Anna Amendola feci “Linea rovente”, un processo in piena regola a protagonisti dell’attualità. Ne vennero fuori, col telefono da casa e tutto, con la toga e tutto, una quindicina di paradossali puntate su Raitre in prima serata, modello la prima: processato Verdiglione, tema del sondaggio finale o sentenza dopo il dibattimento: Esistono ancora gli stregoni? Poi finirono sotto processo ministri, truffatori, Pannella, e molti altri, sempre con ironia ma intanto era nato un precedente delle famose trasmissioni di “un giorno in procura”, dove la toga di tangentopoli era vera, la gogna era vera, e l’ironia pochina (celebrante Di Pietro, che solo Craxi seppe tenere invano a bada).

    L’apparato di Raidue socialista mi volle subito riprendere e facemmo il prototipo di tutti i talk-show successivi, quelli con i collegamenti e la piazza e il casino. Con un altro stile. Difendendo Tortora ammalato e moribondo, parlando di Mitterrand o del facitore di miracoli Milingo o di politica, filo rosso di tutta la mia esperienza tv. Gran successo il giovedì sera. Berlusconi piomba in scena, vuole togliere alla Rai il giovedì sera dell’elefante, mi offre il doppio di una cifra già robusta, lo prendo. Perché è il doppio, e perché mi sembrava che la tv commerciale fosse meglio di quella pubblica, pubblicità compresa. Fu subito flop in prima serata con un talk show che non reggeva il pubblico di Canale5, ma inventai uno spazio che poi fu occupato da “Striscia la notizia” prima edizione e da Enzo Biagi su Raiuno: il breve snodo, influence slot, che si affaccia sulla prima serata competitiva. Fu la prima edizione di “Radio Londra”, allora non esisteva il Tg5 e andavo in onda dopo giochini vari e prima di un programma che si chiamava “Tra moglie e marito” con Marco Columbro. Pubblico immenso e inedito, con uno ciccione che parla e dice quello che pensa (e fa un po’ godere e un po’ disperare l’editore Berlusconi e Confalonieri, che volevano buoni rapporti anche con Andreotti e De Mita), uno che proclama di voler rompere la tv come focolare domestico che unisce l’opinione delle famiglie e manda a letto contenti gli italiani (la grande idea di Bernabei continuata da Agnes, una cosa complessa da reggere per una tv ecumenica perché commerciale). Lo share è uguale a quello che sarà ventidue anni dopo su Raiuno: non sono Fiorello, non faccio imitazioni, se faccio ridere non è per mia intenzione e arte, parlo di cose relativamente difficili per quell’orario televisivo e per quel pubblico. Ma è una cosa ganza, lo sanno tutti, e le cose che si sentono non sono necessariamente le solite, e gli ascoltatori sono molti milioni. Berlusconi annuncia senza consultarmi che la stagione successiva “Radio Londra” andrà su Italia1. Ragioni commerciali come quelle affacciate con pieno diritto da Raiuno oggi. Gli dico di no e gli metto a disposizione il contratto. Lui non vuole mai rompere, e mi paga mentre progetto un programma storico dalla battaglia di Salamina a quella di Sigonella durante un anno fuori dai coglioni del video. Le puntate pilota del programma, come aveva previsto il suo editore esterno Sandro Parenzo, fanno svenire per l’inidoneità commerciale il cavaliere e Confalonieri. Non se ne fa nulla. Però l’elefante torna in video, dopo una stagione di assenza da diniego, su Italia1, ma non con “Radio Londra”, perché un puntiglio è un puntiglio, bensì con l’“Istruttoria”. E’ il programma della fine della prima Repubblica, vengono tutti, chi a piangere chi a combattere, da Misasi a Andreotti a Craxi, e poi in seconda serata si è più liberi e fioccano ceffoni, risse femministe, travestiti, roba da delirio e da tv spazzatura, modello colto (il compianto Funari pensava all’altro modello, quello paesano). Arriva Freccero, innamorato del peggio, cioè di Funari, di Boncompagni, di Fede appena arrivato e di me. Provo con mia moglie il raddoppio dell’“Istruttoria”, in un format per famiglie di prima serata, una trasmissione sul sesso, “Lezioni d’amore”. Parliamo di masochismo, dolce violenza, psicoanalisi, trombate, con stile e tanti bravi scrittori e testimoni in diretta dai misteri dell’orgasmo, ma il quotidiano della dc dice che è uno scandalo e il suo giornale per la penna del capataz dell’informazione scrive proprio così anche a nome di Forlani, bisogna trasferirla in seconda serata, il Garante delle tv dottor Santaniello esegue l’ordine con la complicità comprensibile di Gianni Letta. Berlusconi mi chiama e mi dice: Faremo il 35 per cento in seconda serata. Gli rispondo: Sì, ma io divento Umberto Smaila, il progetto era un altro, era una cosa in fondo seriosa per famiglia, meno burlesque per così dire. Risultato: vengo censurato dopo due puntate di successo, contro grandi film, e pace. Un noto e compianto scrittore e poeta scrive sul Corriere della Sera che non è stata censura. Me ne fotto, non mi piacciono il martirio e il giornalista in lotta.

    L’“Istruttoria” finisce in gloria quando Berlusconi entra in politica, accetta i miei consigli e la mia collaborazione, vince e mi fa o crea immeritatamente ministro per dieci mesi, direttamente dal secchio della tv spazzatura. Disoccupato dopo la cacciata da Palazzo Chigi, ma riccastro, riprendo a scribacchiare con alterne fortune. Ezio Mauro mi fa pubblicare pezzi politici sulla Stampa, ma al secondo pezzo in cui dico quel che ho sempre detto mi riprende: Tu così mi usi. Io traduco: Sbagli a non farti usare da me. Giusto, il direttore è lui. Faccio un giornale che è quello che state leggendo con Vichi Festa, Benvenuto, Scalpelli, Mattia Feltri, Ubaldo Casotto, Maurizio Crippa e altri scapestrati. Basta tv, che è meglio. Paolo Mieli mi liquida la rubrica “Bretelle rosse”, che avevo mantenuto ex articolo 2 sul Corriere, e vorrei vedere con tutto quel casino. Nel 2001 Gad Lerner mi invita a pranzo a Milano con l’editore della tv di sinistra nascente, La7, ha bisogno di una spalla. Chiedo e ottengo un sacco di quattrini, Berlusconi sa del mio ingaggio dalle agenzie e si risente un pochettino ma capisce perché non è stupido che a parte le questioni personali la mia posizione politica non cambia con l’emittente, nasce con Franca Fossati il proto-“Otto e mezzo” in clima di guerra, più che la spalla finisce che faccio il pugile, Lerner non se la sente più essendo un gran signore, Tronchetti sostituisce l’editore Colaninno-Pellicioli, Gad si fa liquidare e riassumere per cambio di linea dell’editore, e la doppia conduzione passa a me con Barbara Palombelli, Luca Sofri, Ritanna Armeni con la quale la cosa resiste per anni. Bel successo, ascolti sulla linea della tv indipendente di allora, alto gradimento e come al solito qualche insulto.

    Nel 2008 mi incazzo con la moratoria per la pena di morte, proclamo in video la moratoria per l’aborto, e mi rovino (se non avessi accumulato tanti denari proprio per potermi un giorno rovinare a mio piacimento). Faccio una lista suicida ma che è con il Foglio l’unica cosa che abbia contato profondamente nella mia coscienza, che non è pulita ma è ruvida, in compenso. Perdo una montagna di denaro, non torno in tv e chiedo di non essere liquidato, vivo piuttosto benone oltre la sconfitta elettorale in una lista alla Camera contro Berlusconi arrembante, e una ragazza romana fa al suo ragazzo vedendomi passare e sentendomi dire per burla che non sono affatto Ferrara: A Sergio, te l’avevo detto che era morto. Dopo anni di morte beata e di analisi distante della politica, Berlusconi regnante, mi incazzo con i neopuritani del Palasharp, mi metto in mutande inorridito non dai burlesque ma dalle letture ostentate di Umberto Eco, e argomento la linea di resistenza di un’altra Repubblica che sta morendo (sono terapeuta o becchino specialista in regimi morenti).

    Risorgo si-fa-per-dire con una nuova edizione di “Radio Londra”, su  richiesta di Berlusconi e su proposta di Masi, in due settimane sono in video su Raiuno, lusingato per la ripresa di un vecchio programma tanti anni dopo, e faccio il mio mestiere, che è indistinguibile dalla mia identità politica e civile, che è ben pagato senza esagerazioni, con uno stile più compassato, sempre allergico al convenzionalismo di fazione, ma deciso nel parlare delle cose secondo un punto di vista chiaro e non dissimulato allo spettatore. Anche il mio amico John Hooper, del Guardian di Londra, mi fa un ritratto personalmente benevolo e pieno di riconoscimento, ma il cui succo è che sono un giornalista bielorusso, perché c’è una dittatura berlusconiana sulla televisione e io ne sono l’espressione. Può essere, John, io non me ne sono accorto, e il compianto Tabucchi almeno diceva che ero una spia dei russi laureata a Mosca ai tempi di Breznev (quand’ero a Mosca avevo sei anni e regnava Krusciov). La faccenda di “Radio Londra” dura da un anno e mezzo, domani chissà, come martire e pettegolo e giornalista in lotta non mi avranno. L’ho detto dal primo momento: se la cosa è gradita, commercialmente e editorialmente, bene, altrimenti sono a disposizione per un nuovo pensionamento televisivo, che è sempre cosa diversa dal martirio.

    Questo curriculum lungo e brodoso, ma avvincente per me, serve solo a inscrivere la quantità di stupidaggini che si dicono sulle storielle di politica e tv dentro una circostanziata relazione di fatto. Grazie a tutti per la pazienza. Vorrei il premio, che vorrei anche istituire, intitolato: “Non è giornalismo”.

    ***

    Leggi i tweet dell'elefantino

                 Il direttore di Raiuno mi ha proposto a nome della     signora    Lei di liberare lo spazio delle 8 e mezza e di fare Radio Londra alle 13 e trenta

    — giuliano ferrara (@ferrarailgrasso) Aprile 20, 2012
     

    Gli ho controproposto di fare un commento di due minuti e trenta secondi in coda al Tg1, sennò amici come prima, senza strilli e martirio

    — giuliano ferrara (@ferrarailgrasso) Aprile 20, 2012

    Ho cinguettato perché detesto i pettegolezzi, a meno che non li metta in giro io

    — giuliano ferrara (@ferrarailgrasso) Aprile 20, 2012
    • Giuliano Ferrara Fondatore
    • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.