Calci paralleli

Il mal di pancia di Cavani e la rinascita di Vidal

Sandro Bocchio

La primavera – specie quando inoltrata – è la stagione che stimola maggiormente i succhi gastrici dei giocatori. Impressionante la serie di mal di pancia (pubblici e privati) accusati in coincidenza di obiettivi non raggiunti o di contratti da alimentare. Un malessere che ha dettato molte delle annate di Zlatan Ibrahimovic, il primo nome che viene per caso in mente. Un fastidio che ha attorcigliato anche lo stomaco di un insospettabile come Edinson Cavani.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Cavani e Vidal.

    La primavera – specie quando inoltrata – è la stagione che stimola maggiormente i succhi gastrici dei giocatori. Impressionante la serie di mal di pancia (pubblici e privati) accusati in coincidenza di obiettivi non raggiunti o di contratti da alimentare. Un malessere che ha dettato molte delle annate di Zlatan Ibrahimovic, il primo nome che viene per caso in mente. Un fastidio che ha attorcigliato anche lo stomaco di un insospettabile come Edinson Cavani. Dell'uruguaiano ci si ricordava al massimo il broncio messo su a Palermo, quando lo facevano giocare seconda punta e non centravanti come voleva (con qualche fondata ragione, e lo avrebbe poi ampiamente dimostrato). Mai una polemica, una parola o un gesto fuori posto. Dio sempre ringraziato dopo ogni rete, in virtù della convinta fede evangelica pentecostale, e massimo rispetto per tutti, a cominciare dalla città: se la fidanzata di Lavezzi minacciava di portare via il Pocho dopo essere stata rapinata, Cavani al massimo parlava di trasloco dopo un furto notturno in casa. Il figlio ideale per una realtà pronta alle adozioni come Napoli: il Matador con cui tornare grandi in serie A, la statuina da porre al posto d'onore nel presepe, il botto deflagrante inventato per salutare l'anno nuovo. Il problema è che adesso Cavani vuole farlo esplodere personalmente, il botto: "Non so se rimango", la frase con cui ha gelato la città dopo l'ennesimo gol (il ventesimo in campionato) e aperto la strada alle illazioni. Con tempismo perfetto, giusto una settimana dopo le parole blindanti di Aurelio De Laurentiis nei confronti dei propri gioielli della corona. Giusto per far sospettare una manina pronta a solleticare gli umori di chi, dopo aver salutato la lotta-scudetto in anticipo e dopo aver lasciato con rimpianti la Champions League, vorrebbe ancora sedersi alle tavole imbandite del calcio più affascinante.

    Un mal di pancia che potrebbe essere curato a Londra dal Chelsea oppure in Italia dalla Juventus, decisiva nel lenire quello avvertito da Arturo Vidal a inizio stagione. Acquistato con l'etichetta di tuttofare d'eccellenza, il cileno s'era ritrovato con addosso qualche giudizio poco benevolo da parte di chi non lo considerava più decisivo come negli anni tedeschi di Leverkusen. Quasi se fosse già bollito – a 24 anni… – perché non trovava una sua ragion d'essere in una squadra comunque in continua mutazione come quella di Conte: spalla di centrocampo, trequartista dietro le punte, addirittura defilato sulla fascia. Fino a darsi di gomito quando l'inflessibile ct Claudio Borghi a novembre l'aveva cacciato anzitempo dal ritiro del Cile per essere arrivato in albergo in ritardo e in "condizioni non adeguate", blando eufemismo per nascondere ciò che un etilometro avrebbe rilevato. Il problema è che nessuno aveva ancora capito che la duttilità di Vidal non doveva essere ingabbiata in uno schema rigido. Quando Conte l'ha lasciato libero, il cileno ha svoltato, e con lui la squadra tutta: non solo per le reti realizzate, ma per le prestazioni che evidenziano sempre più – insieme con il crollo nell'anonimato del Bayer in Bundesliga – come gli oltre dieci milioni spesi siano stati un ottimo investimento. Anche perché il cileno ha deciso di evitarseli da solo, i mal di pancia: la Champions League è già stata recuperata per la prossima stagione e allo scudetto ormai basta veramente poco.

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