Il Pd e il Quarto polo

Claudio Cerasa

Prima di tutto bisogna unire i puntini per capire di cosa diavolo stiamo parlando, e bisogna mettere insieme un po’ di tutto: l’astensionismo e il movimentismo, la sinistra e l’anti montismo, le cinque stelle e il nuovo leghismo, il riformismo e l’anti bersanismo, il prodismo e il post girotondismo e poi, naturalmente, le praterie dell’antipolitica, l’insofferenza verso il governo dei tecnici e infine quell’improvviso clima da campagna elettorale che tutto d’un tratto ha portato il centrosinistra a fare i conti con una serie di questioni solo apparentemente secondarie.

    Prima di tutto bisogna unire i puntini per capire di cosa diavolo stiamo parlando, e bisogna mettere insieme un po’ di tutto: l’astensionismo e il movimentismo, la sinistra e l’anti montismo, le cinque stelle e il nuovo leghismo, il riformismo e l’anti bersanismo, il prodismo e il post girotondismo e poi, naturalmente, le praterie dell’antipolitica, l’insofferenza verso il governo dei tecnici e infine quell’improvviso clima da campagna elettorale che tutto d’un tratto ha portato il centrosinistra a fare i conti con una serie di questioni solo apparentemente secondarie. Primo: siamo sicuri che questa sinistra abbia gli strumenti giusti per dare un volto al magma incandescente dell’antipolitica militante? Secondo: siamo sicuri che questa sinistra abbia i mezzi giusti per attrarre nella sua orbita gli elettori che oggi hanno difficoltà a riconoscersi in un determinato partito? Terzo: siamo sicuri, poi, che il modo migliore per studiare, per esempio, il boom del “grillismo” sia quello di fottersene del fenomeno e limitarsi a dire che quel comico lì, ohibò, altro non è che un insignificante miscuglio tra un vecchio Bossi e un nuovo Gabibbo? Ecco: abbiamo passato alcuni giorni a indagare con esponenti e osservatori del centrosinistra intorno al tema “come la sinistra possa realisticamente offrire uno sbocco costruttivo al fiume in piena dell’antipolitica”; e alla fine della nostra piccola indagine è risultato piuttosto evidente che giorno dopo giorno a sinistra sta prendendo forma un partito invisibile che cerca un leader che al momento non c’e, e che comunque non si chiama Pier Luigi Bersani.

    La nostra mini indagine comincia a Roma con una piccola chiacchierata a Montecitorio con un vecchio romanticone democratico come Arturo Parisi, da sempre attento al tema di come la sinistra possa esercitare con intelligenza la sua capacità dialettica nei confronti di ogni genere di movimentismo extra politico. Parisi, uno dei quarantacinque democratici che cinque anni fa venne scelto come padre fondatore del Pd, è convinto che oggi più che mai al centrosinistra servirebbe “un nuovo Prodi capace di rappresentare in modo soddisfacente le istanze del partito dell’indignazione costruttiva”. Ma nell’esporre il suo ragionamento il professore sardo arriva a dire anche qualcosa di clamoroso. “Ormai – attacca Parisi – direi che la questione è chiara, e francamente mi sembra evidente che in questa particolare fase della nostra legislatura sta prendendo forma un nuovo bacino politico che non si riconosce più in nessun movimento, che non si riconosce più in nessuna coalizione, che non si riconosce più in nessun leader di partito ma che al contrario dei ‘grillinos incazzados’, per dire, sente un bisogno matto e disperato di essere rappresentato da una nuova forma di politica attiva: quasi da un nuovo soggetto politico. Un soggetto che tu puoi chiamare anche con il nome di ‘Quarto polo’, che tu puoi chiamare anche con il nome di ‘nuovo Ulivo’, ma che di sicuro stai certo che oggi non puoi più chiamare con quelle due lettere che stanno mandando purtroppo in frantumi il grande sogno unitario della sinistra italiana: il Pd”. Messo così, forse, il ragionamento del professore potrebbe essere considerato come il semplice urlo malinconico di un iperulivista nostalgico dell’età dell’oro prodiana. Eppure, a guardar bene, dietro la possibile eccentricità parisiana esiste una questione importante intorno alla quale si stanno interrogando sempre di più i così detti movimentisti del centrosinistra. “Lo dico ancora con più chiarezza – aggiunge Parisi – l’abbandono da parte del nucleo dirigente del Pd del progetto di un partito veramente nuovo, che riesca a fuoriuscire davvero dalle identità del passato, ha riaperto uno spazio che qualcuno prima o poi dovrà occupare. Quello spazio non verrà presidiato purtroppo dal Pd, e chiunque abbia un minimo a cuore il destino del centrosinistra oggi dovrebbe riflettere se non sia arrivato il momento di prendere atto di questo commiato”.

    Fino a oggi, la suggestione politica a cui fa riferimento il professore prodiano è sempre stata tradotta con l’espressione “lista civica nazionale”. Un’espressione forse un po’ fumosa, ma che comunque ha il merito di rappresentare, in modo persino plastico, un ipotetico spazio politico finalizzato a raccogliere quell’elettorato democratico desideroso di trovare una risposta costruttiva alle pulsioni dell’antipolitica – e in una certa misura anche alle più sobrie delle istanze anti montiane. In passato, prima della storia delle cozze pelose, l’uomo che meglio degli altri sembrava poter incarnare il sogno della listona civica, e l’uomo che meglio degli altri sembrava poter sintetizzare il tentativo di dare un volto politico a questo benedetto fiume dell’antipolitica, era senza dubbio Michele Emiliano. Oggi però, esaurita almeno per il momento la parabola nazionale del sindaco di Bari, quello spazio viene osservato e coltivato con attenzione non solo dal mondo dei prodiani ma anche da una serie di così detti “democratici di mezzo” (i né bersaniani, né montiani) capitanati da un giovane e ambizioso consigliere lombardo che di nome fa Pippo Civati. Civati ha 36 anni, è stato eletto due anni fa in consiglio regionale (con circa 10 mila preferenze), è stato per alcuni anni l’altra faccia della medaglia della rottamazione renziana (poi i due hanno litigato), è un blogger piuttosto seguito (5 mila visite al giorno) e oggi è a capo di una piccola corrente democratica (Prossima Italia) molto attiva sulla rete (blog, Twitter, Facebook, siti, newsletter), in espansione anche sul territorio e con la quale, Civati, ha scelto (e lo ha già annunciato) di candidarsi il prossimo anno per provare a guidare il Partito democratico e tentare così di succedere a Pier Luigi Bersani. Civati lo incontriamo al diciassettesimo piano del Pirellone, a Milano, di fronte alla Stazione Centrale: e anche con lui proviamo ad affrontare il tema del, diciamo così, “Quarto polo”, e della lista civica nazionale. Un argomento che naturalmente vive sul filo sottile della fantapolitica ma che Civati, proprio come molti prodiani, sembra avere piuttosto chiaro in testa.

    “C’è una porzione importante della torta elettorale che il centrosinistra potrebbe intercettare ma che i dirigenti del mio partito sembra non abbiano alcuna voglia di rappresentare. Mi chiedo io: ma perché? Ci vogliamo suicidare? Mi spiego meglio. Mi sembra piuttosto evidente che in questa fase della nostra storia esiste una ‘società civilissima’ che potrebbe costituire per il centrosinistra un vero e proprio serbatoio di rinnovamento. Compito del nostro partito dovrebbe essere quello di trasformare questa energia in proposta politica, e di coinvolgere i cittadini attraverso campagne di opinione e proposte coerenti. Ecco, provo a esprimermi meno in politichese: il Pd, per non farsi travolgere dalla dittatura tecnocratica e per non finire schiacciato dai forconi dell’antipolitica, dovrebbe sorridere e sghignazzare un po’ meno quando i nostri avversari parlano di ‘partito liquido’; e dovrebbe invece spicciarsi a trasformarsi in un partito aperto, veloce, più americano, e fatto, e guidato, non dalle stesse persone che ci guidano con risultati non folgoranti da ormai una ventina di anni. In questo senso – continua Civati – limitarsi a dire che Beppe Grillo è un pallone gonfiato che prima o poi sarà destinato a sgonfiarsi è, a mio avviso, sintomo di un grave deficit di lungimiranza politica. I grillini sono elettori in cerca d’autore che si rifugiano dietro la maschera di un comico nell’attesa di trovare un attore migliore, e anche per questo se il segretario del mio partito non capirà che il Pd va aperto anche a queste realtà, ai famosi ‘esuli in patria’ come da definizione di Ilvo Diamanti, è ovvio che poi uno deve trarre le sue conseguenze”.

    Trarre le conseguenze, spiega Civati, non significa in questo caso semplicemente fare spallucce e andare avanti con il broncio. Significa che “se Bersani non capirà in fretta quello che sta succedendo e se non capirà che l’esplosione delle liste civiche a livello locale non è affatto un fenomeno casuale, beh, come dire, forse si potrebbe anche ragionare sulla possibilità di prendere l’iniziativa e di guardarci in giro, e magari cercare persino qualcuno di nuovo in grado di rappresentare un ceto politico completamente rinnovato. Un ceto politico, per capirci, simile a quello che stiamo costruendo, a poco a poco, in molte città italiane, già dalle prossime amministrative”. Insomma – insiste Civati mentre con una mano risponde a un sms, con un’altra risponde a un tweet, con un’altra aggiorna il blog, con un’altra controlla le agenzie e con un’altra ancora dà una sbirciatina ai commenti su Facebook – “ci serve, urgentemente, una specie di leveraged buyout, una sorta di tecnica di acquisizione della nuova società civile; anche perché, pensare che esista un partito invisibile che il nostro partito non riesce a rappresentare sinceramente mi sembra una pazzia. O dico male?”.
    La prateria di cui parlano più o meno con le stesse parole tanto Pippo Civati quanto Arturo Parisi è uno spazio politico non indifferente che da qualche tempo a questa parte ha attirato l’attenzione anche di alcuni sondaggisti. Uno di questi si chiama Davide Valenti, numero uno della Lorien Consulting, e al Foglio racconta di aver ricevuto recentemente da diversi esponenti del centrosinistra la richiesta esplicita di quantificare il valore numerico di questo famigerato Quarto polo. “Da ciò che mi risulta – dice Valenti – qui siamo di fronte a una realtà di enormi potenzialità che attualmente nessun partito nel centrosinistra sembra essere in grado di rappresentare in modo compiuto. A differenza però dei così detti grillini, questa realtà è composta da un bacino di elettori che non è alla ricerca di una proposta anti sistema, ma che piuttosto richiede alla classe politica di offrire un progetto che possa dare uno sbocco concreto a quest’area di ‘astensione consapevole’. L’unico politico che finora, almeno a livello locale, è riuscito a dare un senso a questa sorta movimentista, e a questa forma di indignazione costruttiva, è stato senz’altro Giuliano Pisapia. E in questo senso – conclude Valenti – è evidente che se nel centrosinistra dovesse spuntare fuori una sorta di nuovo Pisapia, o, se vogliamo osare, una sorta di nuovo Prodi, il bottino che potrebbe raccogliere, con una sua lista sua, sarebbe non indifferente: diciamo più o meno tra il 10 e il 15 per cento”.

    Numeri a parte, però, si può dire che il momento in cui questo Quarto polo – un po’ virtuale e un po’ no – si è presentato di fronte agli occhi degli osservatori in modo plastico è stato nei giorni immediatamente successivi alla enunciazione della prima versione della bozza elettorale presentata dai tre dell’ABC (Alfano+Bersani+Casini). In quelle ore – di fronte a una legge elettorale che, per usare le parole di Romano Prodi, avrebbe certificato un accordo finalizzato a proteggere i partiti, a uccidere il bipolarismo e a far ripiombare l’Italia ai tempi della Prima repubblica – il fronte prodiano e il fronte movimentista si sono ritrovati uniti insieme a rivendicare “un altro futuro per il paese”.
    “So di andare contro quella che è la linea ufficiale del mio partito – dice Sandro Gozi, prodiano di ferro e deputato del Pd – ma non posso fare a meno di considerare un errore il modo in cui il Pd sta affrontando il tema della legge elettorale. I nostri elettori, e lo abbiamo visto anche lo scorso anno con il numero sorprendente di persone che hanno scelto di votare per il ritorno al Mattarellum, ci chiedono in modo inequivocabile di avere più potere contrattuale nella quotidianità della politica, e l’idea di avvicinarci alle elezioni offrendo loro messaggi contraddittori, ed estromettendoli persino dalla scelta delle future coalizioni di governo, francamente non mi sembra un’idea lungimirante. E se questa legge elettorale dovesse passare, beh, è ovvio che potrebbero esserci delle conseguenze politiche anche clamorose”.

    Sul tema Quarto polo, alcuni osservatori hanno notato che un primo piccolo segnale di richiesta esplicita di un polo alternativo rispetto a quelli presenti oggi nell’universo della politica è arrivato qualche tempo fa con un manifesto di otto paginette, in perfetto spirito radical-post-girotondino-chic, firmato dai vari Paul Ginsborg, Stefano Rodotà, Guido Viale, Luciano Gallino, Enzo Scandurra e altri sessanta tra professori, economisti e sociologi che sabato prossimo si riuniranno a Firenze, al Mandela Forum, per presentare al pubblico il proprio “Manifesto per un Soggetto Politico Nuovo”. Piccoli segnali, certo, ma comunque segnali che in una parte del Pd vengono ormai osservati con una particolare attenzione. “Vedete – insiste Civati – io capisco che oggi il Pd debba stare attento a non dare troppo spazio alle voci che provano a uscire un po’ fuori dal coro: ci sono le amministrative, abbiamo l’occasione importante di stendere il centrodestra ed è giusto che viga nel nostro partito una specie di grande pax bersaniana. Detto questo, io resto convinto che il mio partito debba smetterla di parlare solo di alleanze e che debba invece cercare un modo per capire come riconquistare i suoi esuli, e comprendere una volta per tutte come si possono recuperare e come si possono rappresentare questi elettori in fuga. Ecco: questa è la mia sfida. E per vincerla, nel mio piccolo, sono disposto a fare qualsiasi cosa. Di tutto. E se è necessario – dice Civati dondolandosi improvvisamente sulla seggiola e alzando per un attimo lo sguardo dai tre schermi accesi sulla scrivania – anche cercare un nuovo volto, un nuovo Prodi, che sappia intercettare, come si deve, questo magma incandescente”.
    Di nomi precisi Civati non ne fa nemmeno uno. Ma in realtà, indagando un po’ in questo mondo un po’ virtuale e un po’ no del Quarto polo, si scopre che tra le persone che sono state contattate per provare a rappresentare questo strano universo politico ce n’è una che fa parte del governo Monti. Un tecnico non molto conosciuto, con un ruolo non di primo piano, con una caratura non proprio nazionale ma che si dice sia molto stimato in ambienti prodiani, che si dice sia ben visto anche in ambienti debenedettiani e che ultimamente sta prendendo sempre più confidenza con il mondo della politica extra governativa. Lui si chiama Fabrizio Barca, attualmente è ministro per la Coesione territoriale, ha un passato da direttore generale al ministero dell’Economia, ha una certa conoscenza del mondo post-comunista (suo padre Luciano, partigiano, è stato anche direttore dell’Unità) e chi lo conosce bene sostiene – esagerando? – che potrebbe essere lui uno dei volti da cui ripartire per provare a riportare un po’ di ulivismo nel nuovo centrosinistra.

    “Io – dice al Foglio per esempio Angelo Rovati, ex braccio destro di Romano Prodi ai tempi di Palazzo Chigi – credo che in questa fase ci siano davvero degli spazi enormi che si stanno aprendo, e che anche a sinistra qualcuno dovrebbe andare urgentemente a rappresentare. Escludo categoricamente che il mio amico Romano possa tornare in campo, ma d’altra parte non posso escludere che prima o poi spunti un nuovo Prodi intenzionato a dare una risposta a questa bestiale ondata di anti politica. Se c’è qualcuno in giro che potrebbe dare una mano per colmare questo vuoto? Beh io dico che uno come Barca, per esempio, potrebbe essere davvero, a suo modo, un nuovo Romano Prodi”.
     

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.