Le virtù di un sistema per decisori

Lanfranco Pace

Siccome non c’è elezione presidenziale degna del nome senza il suo corteo di aneddoti, piccole verità e umane debolezze, è bene cominciare dalle frattaglie, quelle che deliziano gli entomologi di ogni tempo, da Svetonio ad Aldo Cazzullo. Domenica a pranzo François Hollande ha mangiato asparagi, bistecca di vitello e, interrompendo la dieta, torta al cioccolato.

    Siccome non c’è elezione presidenziale degna del nome senza il suo corteo di aneddoti, piccole verità e umane debolezze, è bene cominciare dalle frattaglie, quelle che deliziano gli entomologi di ogni tempo, da Svetonio ad Aldo Cazzullo. Domenica a pranzo François Hollande ha mangiato asparagi, bistecca di vitello e, interrompendo la dieta, torta al cioccolato. I seimila francesi residenti a Shanghai hanno votato al 50,5 per cento per Nicolas Sarkozy. Davanti l’Eliseo pare sia stato visto un camion di trasportatori bretoni. Twitter ha fatto sfracelli, sono stati postati a raffica commenti e brandelli d’informazione a urne aperte, quando le varie reti televisive per legge hanno dovuto tacere. L’hashtag Radio Londres ha mandato messaggi in codice come le carote che erano cotte: “Carla prepara la carrozza per Varennes, ripeto, Carla prepara la carrozza per Varennes”, “il prezzo del budino è aumentato, i Rolex sono in saldo”. Siccome siamo in Francia la commissione di controllo della campagna si è impuntata e ha presentato documentato esposto alla magistratura. Un candidato, un tal Jacques Cheminade, che pare abbia altissima considerazione di sé, ha ottenuto 0,25 per cento dei voti. Ségolène Royal è riapparsa. Fra ali di sostenitori d’antan tuttora convinti che fu sconfitta perché il partito socialista l’abbandonò. Indossa un foulard sopra una sciarpa, si vede che sta un fiore ma basta nominare Valérie, nuova compagna del suo ex fidanzato Hollande, perché lo sguardo diventi gelido, l’occhio assassino. La chiamano dalla rue Solférino per una riunione di coordinamento fra maggiorenti per preparare la fase due della campagna: lei fa sapere che non si coordina con nessuno, sa da sola quello che deve dire, semmai siano gli altri a coordinarsi con lei. Delirio psicopatologico da sogno svanito. In caso di vittoria dell’ex fidanzato pare che lei possa andare a presiedere l’Assemblea nazionale: Martine Aubry, madame 35 ore, andrebbe al posto di primo ministro. Fra gli ecologisti si è visto almeno una cosa verde: gli occhiali della candidata, Eva Joly, che ha avuto il 2,31 per cento dei voti e due nomination per la peggiore campagna e il peggior scarto rispetto alle attese.

    I giovani hanno votato in maggioranza per Hollande, le donne per Sarkozy. Nel paese fissato per le statistiche e molto attento alla scelta del campione rappresentativo della popolazione i sondaggi sono stati incredibilmente “à côté de la plaque”: hanno toppato. Avevano previsto un alto astensionismo, otto elettori su dieci, il 79,47 per cento per la precisione, sono andati a votare, un po’ meno che nel 2007. Davano Jean-Luc Mélenchon, leader dell’estrema sinistra, in folgorante ascesa, addirittura in corsa per il podio, davanti Marine Le Pen, leader del Front National: è andato benino ma non di più, 11,1 per cento. La sinistra antisistema pesa più o meno quanto negli anni Novanta, quando c’erano ancora un po’ di Partito comunista e una galassia di estremisti. Dalla parte opposta dello schieramento, la leader del Front National ha doppiato il padre in versione 2007 ma ha guadagnato solo qualche decimale rispetto allo score del 2002. Le è certamente riuscito di rendere il volto del Front National meno repellente, più accettabile e spendibile ma che l’estrema destra faccia stabilmente parte del paesaggio politico francese è cosa nota fin dal lontano 1983. E’ vivamente consigliabile dunque non fidarsi troppo delle previsioni del secondo turno, pressoché unanimi nel dare il presidente uscente sconfitto con margine considerevole. A poco serve fare congetture sulla strana alchimia dei riporti di voto.

    Il secondo turno di una presidenziale ha vita propria, un’altra dinamica rispetto al primo, in cui l’elettore sceglie il suo candidato ideale: qui è chiamato a eliminare perciò o sta a casa o va a votare per quello che ritiene il minore dei mali. Si azzerano dunque i contatori e i duellanti finali ripartono alla conquista dell’ultimo voto. C’è un effetto zoom sulla competizione di secondo turno, una lente d’ingrandimento permanente. Conta in maniera preponderante la personalità, la faccia, la tenuta nervosa, il senso della ripartita, la battuta che uccide. Conta il dibattito televisivo, il momento di maggior parossismo, l’acme della campagna: è l’arena dove bisogna dimostrare di avere killer instinct, simulazione di messa a morte che può spostare anche fino a un milione di voti. Non sempre dunque vince chi è arrivato in testa al primo turno. Ne sa qualcosa per esempio il legnoso Lionel Jospin che nel 1995 si fece trafiggere da Jacques Chirac ed è tutto dire.

    E’ comunque questa la Francia che ci piace: “Souple”, agile, con istituzioni oliate e un sistema politico collaudato. Che coniuga con sapiente malizia rappresentanza democratica ed efficienza di governo. Che lascia sfiatati per le estreme, a destra o a sinistra, riconosce la protesta antisistema, ma si guarda bene dal coinvolgerla sia pure in minima parte nella determinazione del proprio destino. Anche in tempi di crisi grave, di frustrazione sociale diffusa, di invidia dell’altrui ricchezza e acuta insofferenza per qualsiasi forma di privilegio, elezioni così congegnate sono l’ennesimo omaggio alle istituzioni repubblicane volute da Charles de Gaulle: flessibili e aperte in termini di democrazia, arcigne nella selezione di chi dovrà governare la nazione. E’ una lezione tutto sommato di modernità che viene da un paese al riparo dal rischio di dover comporre con tutte le Vandee, con tutte le esplosioni di umori, con i “trecento formaggi” di cui il generale non si capacitava: anche oltralpe hanno i loro Bossi i Di Pietro i Grillo o i Vendola, accettano che esistano e che protestino, che facciano testimonianza politica e morale, che trattino seggi in Parlamento, ma governare mai. E non c’è vulnus della democrazia, ci si lascia guidare senza stati d’animo da un leader che al primo turno ha raccolto sul proprio nome meno di un terzo di elettori. E magari il 6 maggio soltanto la maggioranza relativa: nessuno negherà mai la sua piena legittimità.

    E’ in parte vero che è un sistema peculiare, difficilmente esportabile. Che fa tutt’uno con l’eccezione francese, che è figlio della force de frappe, dello stato nucleare e della constatazione ovvia che se in giro ci sono bottoni rossi è meglio che a mani rozze e comandate da furori ideologici venga impedito di avvicinarsi. E’ vero anche che un sistema così collaudato è possibile solo in presenza di uno stato onnipresente e vorace quasi quanto quello italiano ma innegabilmente più efficiente, trasparente, in grado di accompagnare in ogni momento e in tempo reale l’azione di governo. Di sapere fino all’ultimo centesimo uso e destinazione del denaro pubblico, un sistema in cui è risolto anche il problema del costo della democrazia, del finanziamento ai partiti.

    Però dobbiamo ammettere che è un bel paese quello in cui non si parla di partito della nazione, nessuno propone alleanze tanto vaste quanto urticanti, dove nessuno si sogna di mettere insieme tre elettori su quattro per sorvegliare o tenere al margine il quarto. Il paese la cui vita politica ruota attorno a una chiara alternanza di programmi e di leadership e resiste alle spinte centripete, alle sirene di chi vorrebbe l’emergenza di un grande centro nazionale solo per giustificare la propria esistenza e trovarsi un ruolo da comprimario. Il paese sperimentato e maturo che non sa proprio che farsene di “Grosse Koalition”. Quando ne ebbe tragicamente bisogno, Raymond Poincaré la chiese e ottenne senza alcuna discussione. Si chiamò Union Sacrée: in ballo c’era la sopravvivenza della patria, non delle banche.

    • Lanfranco Pace
    • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.