Tesori comunali

Michele Arnese

Dalla Banca d’Italia alla Corte dei Conti, si fa incessante l’appello per riavviare o accelerare il piano di dismissioni del patrimonio pubblico per aggredire il debito pubblico. Bankitalia non poteva essere più chiara: “In passato di privatizzazioni ne abbiamo fatte tante e questi proventi sono finiti nel bilancio generale e non si è visto il loro impatto diretto sulla riduzione del debito", ha detto ieri il direttore generale dell’Istituto centrale, Fabrizio Saccomanni.

    Dalla Banca d’Italia alla Corte dei Conti, si fa incessante l’appello per riavviare o accelerare il piano di dismissioni del patrimonio pubblico per aggredire il debito pubblico. Bankitalia non poteva essere più chiara: “In passato di privatizzazioni ne abbiamo fatte tante e questi proventi sono finiti nel bilancio generale e non si è visto il loro impatto diretto sulla riduzione del debito – ha detto ieri il direttore generale dell’Istituto centrale, Fabrizio Saccomanni – Oggi quello che bisogna fare è trovare sia i meccanismi per le dismissioni, ma anche i meccanismi per utilizzare immediatamente le risorse per ridurre il debito”. L’invito di Saccomanni è giunto il giorno dopo l’auspicio del presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino: serve una task force operativa nell’esecutivo per accelerare le privatizzazioni. Una proposta simile a quella circolata mesi fa al Tesoro, quando fu ipotizzato un ministero ad hoc per coordinare le dismissioni. “Una ripresa delle politiche di dismissioni del patrimonio pubblico – ha spiegato Giampaolino – può risultare opportuna non solo e non tanto per il beneficio che ne deriverebbe in termini di riduzione del debito, e quindi della spesa per interessi, ma soprattutto perché essa consentirebbe di abbattere il ricorso netto al mercato nei due anni che ancora ci separano dal programmato raggiungimento dell’equilibrio di bilancio, con un ovvio impatto positivo sullo spread”.

    Ma che cosa fa il Tesoro? Al ministero dell’Economia tutto tace, anche se può essere un silenzio operativo, dicono gli addetti ai lavori. Infatti nello scorso fine settimana il viceministro Vittorio Grilli, incontrando investitori istituzionali a latere delle riunioni del Fmi, ha garantito che alienazioni e riduzioni del debito rientrano nei programmi dell’esecutivo. E due giorni fa, in occasione dell’audizione parlamentare sul Def (Documento di economia e finanza), Grilli ha detto: “In un paese con il livello del debito come il nostro non si può pensare di non intervenire sulla dismissione del patrimonio. Anche su questo stiamo lavorando e speriamo di portare risultati presto”.

    Da cessioni e valorizzazioni del patrimonio immobiliare si possono ricavare tra i 25 e i 30 miliardi di euro, sono le ultime stime dei dirigenti del Tesoro.

    L’obiettivo del pareggio del bilancio è già un modo per evitare la lievitazione ulteriore del debito, si legge comunque nel Def, però al ministero dell’Economia si punta alle dismissioni non solo del patrimonio a livello centrale ma anche di quello locale, composto di beni immobili e mobili (società partecipate ed ex municipalizzate). Obiettivo: aggredire lo stock del debito complessivo. I fini con comuni e regioni sono convergenti: lo stato deve limare costo e livello del debito, gli enti locali hanno necessità di trovare nuove risorse. Il patto di stabilità interno, comunque, vincola i comuni: gli incassi delle alienazioni devono essere destinati alla riduzione del debito o a spese per investimenti. C’è chi, però, come l’economista ed ex ministro Paolo Savona, teme che comuni ed enti locali utilizzino gli introiti per aumentare la spesa corrente invece che ridurre il debito.
    Sta di fatto che gli incontri e i pourparler tra istituzioni centrali e locali si susseguono, non solo per definire e contabilizzare il Conto patrimoniale dello stato, sul quale è al lavoro il ministero dell’Economia e l’Agenzia del demanio.

    Un ruolo chiave, non solo per l’attività di advisoring per gli enti locali che già svolge, lo riveste la Cassa depositi e prestiti (controllata al 70 per cento dal ministero dell’Economia e al 30 per cento dalle fondazioni bancarie) presieduta da Franco Bassanini e guidata dall’ad, Giovanni Gorno Tempini. O meglio lo potrebbe rivestire il fondo F2i, guidato da Vito Gamberale, che è posseduto da Cdp, banche italiane e straniere, fondi di investimento. I contatti con grandi comuni come Milano e Torino sono già in corso. F2i di fatto si candida a rilevare quote di società pubbliche locali. Ma per far questo al fondo capitanato da Gamberale servirà con tutta probabilità un nuovo fund raising, visto che le risorse con cui è partito sono state già impiegate.
    Al lavoro per questa seconda fase da campione nazionale c’è una squadra tecnica capitanata da Carlo Michelini, bocconiano, già in Morgan Stanley, chief investment officer di F2i, partecipata al 15 per cento dalla Cdp. Ai liberisti, però, questa prospettiva non entusiasma: “Privatizzare significa cedere società e asset pubblici a proprietari privati – dice al Foglio Carlo Stagnaro, direttore studi e ricerche dell’Istituto Bruno Leoni – Fare scambi di azioni tra soggetti pubblici è solo una partita di giro che, se può essere utile a spostare attivi dove servono ai fini contabili, nulla cambia nell’estensione del perimetro pubblico e nelle dinamiche di mercato sottostanti”.