L'ultima sfida di Erdogan
Un altro colpo ai principi del secolarismo turco è stato dato lunedì scorso, ad Ankara, dalla moglie del premier Recep Tayyip Erdogan. Emine, distinta signora che accompagna come un’ombra il consorte, è entrata nell’aula della Grande Assemblea Nazionale in occasione della festa per la fondazione del parlamento indossando il velo. Un elegante turban le copriva il volto, pratica subito copiata dalle mogli degli altri deputati dell’Akp, il partito governativo. Non era mai accaduto prima.
Un altro colpo ai principi del secolarismo turco è stato dato lunedì scorso, ad Ankara, dalla moglie del premier Recep Tayyip Erdogan. Emine, distinta signora che accompagna come un’ombra il consorte, è entrata nell’aula della Grande Assemblea Nazionale in occasione della festa per la fondazione del parlamento indossando il velo. Un elegante turban le copriva il volto, pratica subito copiata dalle mogli degli altri deputati dell’Akp, il partito governativo. Non era mai accaduto prima. Da anni le donne musulmane tentavano di aggirare il divieto di portare il velo nei luoghi pubblici, dalle scuole alle università. Nel 1999, la deputata Merve Kavakçi si presentò all’ingresso dell’aula parlamentare con il turban senza però riuscire a entrare, perché immediatamente subissata di fischi e cori ironici da parte dei colleghi. Nel 2003, il presidente della Grande Assemblea Nazionale, Bulent Arinc, spedì gli inviti per la festa del 23 aprile anche alle consorti dei deputati. L’opposizione boicottò l’evento, i militari minacciarono Erdogan al suo primo anno di mandato e il tentativo di violare uno dei principi del secolarismo kemalista sfumò.
Nove anni dopo, il premier è più forte e può permettersi gesti simbolici come quello del 23 aprile: “Le condizioni sono cambiate e io non ho fatto altro che partecipare a un ricevimento con mia moglie”, ha detto. Anche il capo dello stato, Abdullah Gül (la cui elezione alla presidenza della repubblica fu travagliata anche e soprattutto perché sua moglie presenziava agli eventi ufficiali con il velo in testa), ha approvato la scelta della signora Emine sostenendo che “non era normale che noi uomini dovessimo partecipare a un ricevimento così importante senza le nostre mogli”.
Erdogan sa che, fatta eccezione per le Forze armate e la Magistratura (sempre più deboli) e i club esclusivi di Istanbul, l’anima profonda del paese è con lui. Anche per questo, per la prima volta da quando è al potere ha evitato di recarsi al mausoleo di Atatürk e di rendere omaggio al padre della patria in occasione della festa del 23 aprile. La rivalutazione dell’età kemalista rientra da sempre nella linea politica di Erdogan, fortemente deciso a perseguire il neo-ottomanesimo, la dottrina coniata da Ahmet Davutoglu e Ali Babacan volta a fare della Turchia una grande potenza regionale, autonoma e decisiva per gli equilibri medio-orientali. Se di Davutoglu si sa tutto, si conosce la sua mitezza e la sua profonda conoscenza della geopolitica maturata negli anni studio e di insegnamento nelle università del suo paese, di Babacan si conosce poco. Prima di diventare vice premier responsabile per l’economia, fu per due anni ministro degli Esteri e, ancor prima, ministro dell’economia dal 2002 al 2007. E’ lui il regista del boom turco (che per molti però presenta più di una crepa) che ha trasformato il paese nella Cina del Mediterraneo; è lui il pianificatore degli investimenti di Ankara in mercati fino a oggi inesplorati. Se il sogno di grandeur ottomana di Erdogan potrà realizzarsi, lo si deve anche ai suoi due più stretti collaboratori.
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