Antoine Walker, genio del basket che ha appena chiuso un'epoca
Il soprannome di Antoine Walker è sempre stato The Genius, sin dai tempi del liceo. Come molti ragazzi chicagoani che calcano i parquet americani, uno su tutti quel Derrick Rose recentemente venerato da Obama e conosciuto come Pooh per la somiglianza con l'orsetto, Walker è figlio dei marciapiedi più puri del South Side, quartiere notoriamente difficile in cui l'accento è in prevalenza ispanico e le pallottole vaganti sono all'ordine del giorno.
Per una strana regola non scritta che affonda le sue radici nella cultura afroamericana, etnia dominante nella quasi totalità dello sport eccezion fatta per quel baseball da sempre materia per ispanici, nella National Basketball Association i soprannomi contano più di ogni altra cosa.
Rappresentano la bandiera ideale sotto cui coricarsi dopo ogni gesto, ogni tiro, ogni movimento. Spesso nascono e muoiono nel nulla, altre volte rimangono per sempre. Il soprannome di Antoine Walker è sempre stato The Genius, sin dai tempi del liceo. Come molti ragazzi chicagoani che calcano i parquet americani, uno su tutti quel Derrick Rose recentemente venerato da Obama e conosciuto come Pooh per la somiglianza con l'orsetto, Walker è figlio dei marciapiedi più puri del South Side, quartiere notoriamente difficile in cui l'accento è in prevalenza ispanico e le pallottole vaganti sono all'ordine del giorno.
Facile dunque intuire come la famiglia, nei ghetti afroamericani di tutta America e di Chicago in particolar modo, sia un concetto dozzinale e vagamente approssimativo. Come tanti colleghi, Walker assaggia la miseria e poi il palcoscenico come protagonista assoluto. Cinque anni anni di pallacanestro liceale a dir poco celestiale valgono a Walker una borsa di studio – che profuma (o puzza) di ingaggio camuffato lontano un miglio – offerta da Kentucky University, al netto di una squadra che nella guida dell'impomatato Rick Pitino ha trovato una garanzia di successo, concretizzatasi nel 1996 con un incredibile titolo nazionale tuttora rimasto negli annali.
Appena affacciatosi al piano superiore, Antoine diventa uno dei volti della Lega, incrociando nuovamente Rick Pitino in quel di Boston, Massachusetts. Fu proprio quest'ultimo, molto poco profetico, a proferire le famose parole che ancora perseguitano entrambi; dopo aver procurato al giocatore un sontuoso contratto da oltre 90 milioni di dollari, Pitino affermerà che "grazie a Dio né Walker né i suoi eredi dovranno mai più preoccuparsi del denaro per generazioni".
Il destino tende ad avere altre idee, e getta Walker – carattere incostante e ingenuo – tra le grinfie di cattivi consiglieri che propongono improbabili affari immobiliari, poi tramutatisi in una bancarotta fraudolenta da decine e decine di milioni. Per porre rimedio al salatissimo debito con la giustizia, l'ormai ex stella Nba ha venduto tutto quanto in suo possesso, a partire da una villa a Miami disseminata di piscine e palme su tutti i cinque piani di estensione, due attici a Los Angeles con campo da basket incorporato e numerose case nella natia Chicago. La metà delle spese legali è stata sostenuta dall'ex compagno Nazr Mohammed, un decimo del talento e dei guadagni di Walker, ma uno spiccato senso del denaro poiché la sua carta d'identità parla chiaro: Africa, fango e Bidonville per oltre 15 anni di vita.
L'America, che crea e disfa miti, sembrava essersi dimenticata dell'esistenza di Walker per almeno un paio di anni, salvo riacquistare un interesse ancorché minimo con un reportage curato dalla rivista Sport Illustrated, sempre a caccia di storie polverose. Oggi Antoine vive in un minuscolo appartamento di tre stanze che condivide con un compagno di squadra, all'interno di un palazzo popolare del New Jersey che ospita tagliagole e reietti della peggior specie. A Walker, ridotto a guadagnare in un anno ciò che spendeva in gioielli in un paio di giorni, rimane soltanto la forza di deambulare davanti alla televisione e di rivedersi in azione su campi Nba, ma solo tramite videogiochi d'annata gelosamente conservati.
Ma i rimpianti sono fantasmi impossibili da dissipare, almeno nel suo caso. Il suo atteggiamento di narcisistica e reale superiorità ha fatto sì che squadre e compagni edificassero attorno al suo futuro un deserto vasto ed invalicabile ha costretto l'ex All-Star a percorrere altri lidi ben distanti dai confini patriottici, ad esempio il Porto Rico, paese che assieme alla Cina incarna a oggi l'ultima spiaggia cestistica per molti giocatori in parabola discendente. L'ultimo grido d'aiuto, The Genius l'ha lanciato dalla NBDL, la lega di sviluppo che le franchigie professionistiche usano per coltivare giovani prospetti o per parcheggiare a tempo indeterminato talenti sfioriti e poco utili alla causa. Per inciso, da Antoine dipendevano oltre 70 dipendenti, tra giardinieri, barbieri, piloti di elicotteri e motoscafi e curatori finanziari. Per saldare un conto aperto in un casinò di Minneapolis, l'ex giocatore si è addirittura ridotto a vendere per soli 5.000 dollari il suo anello da campione Nba, costato una vita intera di brame e sacrifici.
Il suo ritiro, a questo punto ormai inevitabile e meditato da mesi con l'orologio in mano, rappresenta a tutti gli effetti la fine di un'era sportiva che per caratteristiche rimarrà inimitabile e materia per puristi della scienza del gioco.
Il Foglio sportivo - in corpore sano