I piani di Putin dietro la foto ricordo (miliardaria) con Scaroni

Luigi De Biase

Vladimir Putin ha saltato l’incontro della scorsa settimana con il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, ma si è presentato sorridente fra il capo di Eni e quello di Rosneft per la firma di un accordo petrolifero da 125 miliardi di dollari. E’ così che prepara il nuovo termine al Cremlino, il terzo dopo la pausa di quattro anni passata alla guida del governo. Putin è impegnato in una grande operazione di rilancio dell’industria energetica, e il vicepremier Igor Sechin, una specie di eminenza grigia dell’oro nero.

    Vladimir Putin ha saltato l’incontro della scorsa settimana con il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi, ma si è presentato sorridente fra il capo di Eni e quello di Rosneft per la firma di un accordo petrolifero da 125 miliardi di dollari. E’ così che prepara il nuovo termine al Cremlino, il terzo dopo la pausa di quattro anni passata alla guida del governo. Putin è impegnato in una grande operazione di rilancio dell’industria energetica, e il vicepremier Igor Sechin, una specie di eminenza grigia dell’oro nero, è stato ospite del Wall Street Journal all’inizio del mese per spiegare i piani del governo. Le risorse naturali continueranno a essere la voce più pesante nel bilancio del paese, dice Sechin; entro il 2030, il 40 per cento del petrolio verrà da zone ancora inesplorate, come il mar Nero e le distese dell’Artico; per raggiungere l’obiettivo serve la collaborazione di grandi compagnie straniere.

    Il primo segnale è arrivato in agosto, quando la società di stato Rosneft ha raggiunto un’intesa con gli americani di Exxon Mobile. I dettagli del piano sono arrivati alla stampa soltanto ora, e non è un caso. Le due compagnie lavoreranno insieme su alcuni giacimenti nel mar Nero e nel mare di Kara. In cambio i russi potranno sfruttare due giacimenti nel nord America, uno in Texas (Las Escalera Ranch) e uno nella provincia canadese dell’Alberta (Cardium Formation). L’investimento complessivo supera di poco i tre miliardi di dollari, ma le cifre sono più alte in prospettiva: lo stesso Putin ha definito “spaventoso” il giro d’affari complessivo, stimato intorno ai 500 miliardi. Dopo il patto Exxon, Rosneft ha puntato su Total per lo sviluppo del giacimento Shatsky Ridge, nel mar Nero. I francesi sono già impegnati nel progetto Shtokman, fra i ghiacci dell’Artico, oggi in fase di sviluppo.

    Ma le conquiste maggiori degli ultimi mesi sono quelle di Eni. L’amministratore delegato, Paolo Scaroni, dice oggi che il cane a sei zampe sarà “il primo partner di Mosca” nel settore dell’energia, un dato significativo perché la Russia è il primo produttore al mondo di idrocarburi. Aprile è stato un mese decisivo per Scaroni: prima ha ottenuto il via libera alla produzione di gas in Siberia grazie alla joint venture con Enel e Gazprom, poi ha firmato il patto con il presidente di Rosneft, Eduard Khudainatov, sotto lo sguardo attento di Putin. Il contratto permette a Eni di aggiungere un vasto pacchetto di progetti al proprio portafogli, dai giacimenti Fyedynsky nel mare di Barent allo Zapadno nel mar Nero, con riserve di petrolio stimate in 36 miliardi di barili. Il costo delle esplorazioni (due miliardi di euro) è a carico di Eni, ma sarà diviso in caso di nuove scoperte.

    “I nostri partner dovrebbero mettersi fretta, c’è un sacco di lavoro qui”, ha detto Khudainatov dopo l’incontro con Scaroni. Gli analisti sono entusiasti della svolta russa nel campo del petrolio: per molti anni hanno suggerito al paese di affidarsi all’esperienza di società straniere e di abbassare le tasse nel settore, e Putin ha portato a termine la consegna in pochi mesi. Il presidente ha annunciato qualche settimana fa l’abolizione delle imposte sull’export del gas estratto nell’artico, una mossa che ha permesso a grandi gruppi come Eni ed Exxon di intraprendere progetti rischiosi. “Si tratta di una rivoluzione – commenta Vladimir Osakovski di Merrill Lynch Russia – La politica di Putin si sta facendo più liberista rispetto al passato e questo avrà un grande impatto sullo sviluppo di giacimenti offshore”. Il Cremlino ha appena rivisto al rialzo le previsioni sul prezzo del petrolio nel 2012, che dovrebbe toccare in media i 115 dollari al barile. Un’altra buona ragione per puntare sul greggio.