Trabajo duro o default

La Spagna disoccupata se la prenda con banche e autonomisti esosi

Sergio Soave

Il servizio statistico spagnolo ha calcolato il nuovo tasso di disoccupazione, che ha raggiunto il 24,4 per cento, ai massimi da 18 anni, con un aumento nell’ultimo trimestre di 365 mila disoccupati. La cifra globale è impressionante: cinque milioni e seicentomila. E’ l’ultima delle cattive notizie che hanno caratterizzato una settimana nera. La Spagna è entrata in recessione formalmente, registrando una caduta del prodotto per due trimestri consecutivi.

    Il servizio statistico spagnolo ha calcolato il nuovo tasso di disoccupazione, che ha raggiunto il 24,4 per cento, ai massimi da 18 anni, con un aumento nell’ultimo trimestre di 365 mila disoccupati. La cifra globale è impressionante: cinque milioni e seicentomila. E’ l’ultima delle cattive notizie che hanno caratterizzato una settimana nera. La Spagna è entrata in recessione formalmente, registrando una caduta del prodotto per due trimestri consecutivi, e le previsioni fanno pensare che continuerà così almeno per tutto l’anno. Il documento di bilancio, che comporta nuovi pesanti tagli di prestazioni sociali e aumenti delle tasse, è stato approvato in prima lettura solo dai parlamentari del Partido popular, perdendo il primitivo appoggio delle formazioni regionali basche e catalane. La Borsa di Madrid ha visto all’inizio della settimana una caduta consistente, che ha poi contagiato tutta l’Europa, mentre il differenziale di rendimento dei Bonos rispetto ai Bund tedeschi continua a restare attorno ai 420 punti, infuenzato anche dal declassamento di due giorni fa. Le istituzioni internazionali hanno ammonito sul rischio di default del sistema bancario spagnolo. Secondo il Fondo monetario internazionale serviranno interventi straordinari e, secondo Standard & Poor’s, questa circostanza rende il debito spagnolo rischioso come quello italiano (che è due volte più grande).

    Oltre ai fattori che accomunano la difficoltà di crescita della Spagna a quella di gran parte delle economie europee, vengono alla luce alcune caratteristiche strutturali di una crisi specificamente spagnola. Il dato più preoccupante riguarda il settore edilizio, in passato il volano principale della crescita e che ora diventa una pesante palla al piede. C’è un dato occupazionale che fotografa la situazione: cinque anni fa i dipendenti del settore delle costruzioni erano due milioni e settecentomila, oggi sono meno della metà, un milione e centottantamila, una parte dei quali disoccupati o sottoccupati. Dal punto di vista economico la crisi dell’edilizia, che conta più di un milione di alloggi invenduti, provoca effetti a catena sia sulla condizione delle famiglie sia sui bilanci delle banche. In Spagna le banche hanno promosso il settore edile offrendo mutui per un valore superiore del 20 per cento a quello degli alloggi, valore a sua volta gonfiato in una fase effervescente di mercato. L’esplosione della bolla immobiliare si è determinata quando centinaia di migliaia di famiglie non sono più state in grado di rimborsare i mutui, come era accaduto in America con la crisi dei subprime, e le banche si sono trovate a dover abbattere il valore patrimoniale esagerato costituito in gran parte da abitazioni che hanno perso valore e per le quali non esiste domanda.

    Che cosa insegna il caso Santander
    La situazione è pesante anche per le due grandi banche spagnole, il Banco de Bilbao e quello di Santander – che pure hanno un’esposizione nell’edilizia percentualmente meno rilevante – ed è particolarmente preoccupante per le casse di risparmio. I governi e soprattutto la Banca di Spagna hanno imposto in questi anni fusioni e capitalizzazioni forzate inadatte a stabilizzare il sistema finanziario, che comunque utilizza tutte le risorse disponibili a cominciare dal prestito della Bce per cercare di ricapitalizzarsi, mentre il finanziamento al sistema produttivo si fa sempre più flebile. Un caso da manuale è quello del Santander, la maggiore banca spagnola, che ha chiesto 35 miliardi alla Bce, salvo poi depositarne nello stesso istituto 37. Questa manovra ha consentito alla banca di aumentare il suo investimento in Bonos da 6 a 7 miliardi, ma questo gioco delle tre carte alla fine lascia a secco le imprese produttive, già penalizzate dalla caduta della domanda interna. Un altro fattore specificamente spagnolo è la difficoltà a realizzare una disciplina fiscale interna, a causa del conflitto anche istituzionale tra le autonomie, le regioni dotate di poteri economici assai più consistenti di quelli delle autonomie locali italiane, e lo stato centrale. Le spinte autonomiste diventano separatiste, nella falsa convinzione che regioni come la Catalogna o i Paesi Baschi sarebbero più prospere se separate dal governo di Madrid. Se anche queste tensioni non determinano effetti sul piano istituzionale, provocano resistenze all’attuazione dei piani di risanamento approvati dal Parlamento, perché ogni autonomia pretende di contrattare l’effetto sul suo bilancio, con l’effetto di rendere meno credibile il risultato complessivo, e anche questa è una delle cause della sfiducia intermittente dei mercati nei confronti del debito spagnolo.