Il trionfo della classe media
Uno spettro s’aggira per il pianeta: lo spettro della cara, vecchia e tante volte data per sepolta “classe media”. Tra meno di vent’anni, infatti, secondo i “Global Trends 2030” appena pubblicati dall’Institute for Security Studies di Parigi, per la prima volta nella storia dell’umanità la “middle class” sarà in maggioranza rispetto ai poveri: 4,9 miliardi di individui su 8 miliardi di abitanti. Merito dei tanto vituperati mercati che, con buona pace di No Global e Indignati, hanno portato il benessere dove le ricette stataliste o la politica degli aiuti aveva fallito.
Uno spettro s’aggira per il pianeta: lo spettro della cara, vecchia e tante volte data per sepolta “classe media”. Tra meno di vent’anni, infatti, secondo i “Global Trends 2030” appena pubblicati dall’Institute for Security Studies di Parigi, per la prima volta nella storia dell’umanità la “middle class” sarà in maggioranza rispetto ai poveri: 4,9 miliardi di individui su 8 miliardi di abitanti. Merito dei tanto vituperati mercati che, con buona pace di No Global e Indignati, hanno portato il benessere dove le ricette stataliste o la politica degli aiuti aveva fallito. Certo, il fenomeno può esser letto alla Niall Ferguson, come il trasferimento epocale del potere dall’occidente in declino all’oriente. E con una punta di nostalgia per il tramonto della supremazia culturale e politica dell’ovest. Ma forse, replica Philip Stephens sul Financial Times di ieri, non è poi così importante sapere come evolveranno i rapporti tra gli stati quanto cosa succederà “dentro” la pancia del nuovo mondo, una volta che la leadership culturale e l’agenda dei bisogni passerà nelle mani della middle class.
Come ai tempi del vecchio Marx, insomma, l’appartenenza di classe rischia di pesare quanto la bandiera. Si può obiettare che il fenomeno visto con la lente dell’occidente, è di segno opposto: la borghesia si assottiglia, sale il potere dei ricchi e rischia di crescere la legione dei poveri. Ma, visto con gli occhi della storia, il fenomeno più rilevante è che, per la prima volta, più di metà del mondo disporrà di un reddito tra i dieci e i cento dollari al giorno, ovvero di pensare a consumare, dopo aver soddisfatto il bisogno primario del cibo. Non è una novità da poco anche se fa più notizia dalle nostre parti la chiusura di una fonderia ormai in perdita cronica piuttosto che l’apertura di un “mall” ad Accra o a Nairobi, dove i nuovi borghesi possono far shopping o semplicemente passeggiare come in un centro commerciale brianzolo.
Ma agli occhi di qualche miliardo di asiatici, africani o latino-americani, la vera rivoluzione è questa qui. E la conferma viene dai numeri, irresistibili quando a trasportarli è il vento della storia. Oggi in Cina la classe media, 160 milioni di persone, è già più numerosa che negli Stati Uniti ma rappresenta solo il 12 per cento della popolazione: nel 2030, si legge nel report di Iss, tre cinesi su quattro potranno definirsi borghesi. Cinque anni prima la metà abbondante degli indiani avrà superato la soglia magica dei dieci dollari al giorno a testa, ma nel 2040 i poveri non saranno più del dieci per cento. Per quella data almeno due brasiliani su tre entreranno nella sfera del reddito medio. E per quella data, assicura Iss, la middle class latina sarà altrettanto numerosa di quella del nord America: il prossimo Simpson, insomma, vivrà a Bahia piuttosto che a Tegucigalpa. Ma questi numeri sono snobbati dai catastrofisti. L’analisi di Iss è ben nota a Jim O’Neill, il guru di Goldman Sachs che nel 2001 intuì per primo l’ascesa dei Brics e oggi ha elaborato la lista dei Next 11 (dalla Turchia alla Nigeria) che tra vent’anni varranno quanto il G7.
Ma per capire il futuro non basta un elenco di numeri. E così il report scava nella pancia del mondo alla ricerca dell’umanità che verrà, con chiavi di lettura che vanno ben oltre l’economia. Lo sviluppo corrode prima le tribù, poi le famiglie patriarcali per poi arrivare a una società di “single”, che poggia su tassi di istruzione più avanzati, la vera chiave dell’emancipazione femminile a ogni latitudine. Occhio alle società più giovani, abitate in prevalenza da ragazzi tra i 15 e i 29 anni: lì, dalla Nigeria al mondo arabo, covano i venti di sommosse e rivoluzioni. Assai più che in Corea del sud, entrata un anno fa nel novero dei paesi a natalità zero o la stessa Cina, alle prese con la conseguenza della politica del figlio unico. Certo, sarà l’impero del Drago a rosicchiare fette di potere, militare e tecnologico, agli States, con un occhio particolare al controllo dell’energia. Ma, assicura Iss, l’espansione delle rinnovabili gioverà soprattutto all’Africa che però dovrà fronteggiare i problemi ambientali più seri, mentre il clima più caldo favorirà Canada, Russia e la stessa Cina. Sarà, ma non è certo per questo che merita soffermarsi sulla sfera di cristallo dell’Iss. La rivoluzione borghese, sostiene Stephens, porta sulle canne dei suoi fucili virtuali valori nuovi, dal rispetto della libertà individuale a quello della dignità umana, oltre al ruolo della legge. Ma guai a cedere all’entusiasmo di Pangloss: non c’è niente di meccanico nella vittoria dei sacri principi. Le vecchie oligarchie difenderanno il potere con mezzi leciti e non. La tentazione di agitare il demone del nazionalismo tingerà di crimini e di sangue anche questo secolo, breve o lungo che sia. Ma prima di fasciarci la testa e di cedere alla retorica ottusa di chi preferiva i muri staliniani a quei mercati che stanno dando il pane a miliardi di persone, facciamo nostra la lezione del Financial Times: è bello un mondo che, dopo aver dato da mangiare ai suoi figli, sa porsi il problema della libertà.
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