Storie di santi e di banditi, di sepolti e riesumati
Soddisfatti o riesumati. Sarebbe un ottimo slogan per un’impresa di pompe funebri, e sfido chiunque a dire che sia fuor di tono: a cospetto della morte nulla val meglio dell’umor nero dei surrealisti, che è poi stretto parente dell’atra bile dei malinconici, e quella materia densa e scura ciascuno la estrae e la raffina come può. Soddisfatti o riesumati, ed è meglio per tutti, perché è dalle mezze sepolture che saltano fuori i guai peggiori – i non spirati, i vampiri, gli zombie, i revenant.
Soddisfatti o riesumati. Sarebbe un ottimo slogan per un’impresa di pompe funebri, e sfido chiunque a dire che sia fuor di tono: a cospetto della morte nulla val meglio dell’umor nero dei surrealisti, che è poi stretto parente dell’atra bile dei malinconici, e quella materia densa e scura ciascuno la estrae e la raffina come può. Soddisfatti o riesumati, ed è meglio per tutti, perché è dalle mezze sepolture che saltano fuori i guai peggiori – i non spirati, i vampiri, gli zombie, i revenant. Ecco, perché i revenant la smettano di rivenire occorre che siano morti per bene, che abbiano le coperte rimboccate, e che tutti siano concordi nel sigillare il feretro. Ed è qui che cominciano i problemi.
“Non potremmo fare almeno una riunione che non finisca con la riesumazione di un cadavere?”, si domanda esasperato il sindaco Quimby di Springfield, la città dei Simpson. E se questo è vero per un’immaginaria cittadina degli Stati Uniti, paese dove in fondo si riesce a convenire su una versione comune della storia, a mettere qualche punto fermo, figuriamoci in Italia, dove non c’è episodio che non sia oggetto di eterna contesa avvocatesca, non c’è contoversia storica che abbia un approdo certo, non c’è morto che muoia davvero. Qui riesumare è una triste necessità, e oltretutto il luogo del cadavere – quell’hic jacet che, diceva Michel Serres, ricorda tanto il Dasein heideggeriano, il dato elementare dell’“esserci” – è l’ultimo appiglio del senso di realtà, o se più piace il grado zero degli accadimenti, prima che vi si formi attorno la ragnatela delle interpretazioni.
Oggi tocca a De Pedis come ieri è toccato a schiere di santi, poeti, navigatori, banditi e assassini, e al di là della vicenda un po’ meschina della traslazione, c’è da capire che cosa il magistrato speri di trovarvi (incidentalmente, capiamo bene che nessun inquirente disporrà mai, quand’anche fosse necessario, l’esumazione di Enzo Tortora: vi troverebbe – specchio intollerabile – la copia della “Storia della Colonna Infame” con cui quel grand’uomo volle farsi seppellire). Ma il problema non sono gli esumati, che portano pazienza – più di tutti Teresa d’Avila, continuamente dissepolta e saccheggiata dai cacciatori di reliquie: chi ne prese una mano, chi un braccio, chi una mandibola, si racconta perfino che un chierico riuscì a trafugarne un mignolino nascondendoselo in bocca. Il problema di tutta evidenza sono gli esumatori, che per quanto seri siano i loro intendimenti e importanti i loro compiti, non sfuggono mai a una nota di umor nero. Non c’è bisogno di rievocare Gene Wilder e Marty Feldman con la loro vanga sotto la pioggia, in “Frankenstein Junior”. Le cronache offrono almeno due casi dove la realtà supera l’immaginazione comica.
Il primo riguarda il poeta e pittore Dante Gabriel Rossetti e la sua amante Elizabeth Eleanor Siddal detta Lizzie, che sposò nel 1860. La poveretta, già cagionevole di suo, fu la protomartire del preraffaellismo. Gli artisti ne ammiravano la bellezza diafana e i capelli rossi, Sir John Everett Millais la volle come modella dell’Ofelia annegata tra i salici, e a furia di stare immersa in una vasca come un baccalà Lizzie si beccò la polmonite. Morì nel 1862 per un’overdose di laudano, ma nemmeno allora la lasciarono in pace, perché il vedovo inconsolabile aveva sepolto con lei l’unico manoscritto delle sue poesie d’amore. Quando l’astro di Rossetti cominciò a eclissarsi, il suo agente ebbe la bella pensata di ripescare le poesie nel cimitero di Highgate. E così, a mezzanotte di un giorno del 1869, la tomba fu riaperta, il manoscritto recuperato, disinfettato da un medico e dato alle stampe. Pochi anni prima Baudelaire (“Une charogne”) aveva detto di serbare nei versi la forma e l’essenza divina dei propri “amori decomposti”. Rossetti deve averlo preso un po’ troppo alla lettera.
Cambiamo secolo e scenario. Siamo in America, a metà degli anni Settanta. Errol Morris, regista di documentari, fa ricerche in lungo e in largo sui serial killer, e queste ricerche lo portano a spendere qualche mese a Plainfield, nel Wisconsin, la città d’origine di Ed Gein, il criminale che fornì il prototipo a “Psycho” di Hitchcock. Oltre a uccidere un po’ di persone, Ed Gein aveva riesumato cadaveri per farne gli usi più vari, specie nell’ambito dell’arredamento. Morris si accorse che le tombe che Ed Gein aveva profanato formavano un cerchio, e che al centro c’era la tomba della madre. Che avesse dissepolto anche lei? Quell’altro geniaccio di Werner Herzog decise di tagliare la testa al toro: “Un bel giorno gli ho detto: ‘Errol, lo saprai solo se torni a Plainfield a scavare tu stesso. Se la tomba è vuota, Ed Gein è stato lì prima di te’. Decidemmo che saremmo andati a scavare insieme, ed eravamo piuttosto eccitati all’idea”. Herzog è pronto, ma attende invano: “Ero lì ad aspettare Errol, ma lui si è tirato indietro e non si è mai presentato. In seguito ho capito che è stata la cosa migliore. A volte è molto meglio lasciare le domande senza risposta”.
E, aggiungeremmo, risparmiare i sepolti. Scherza con gli esumatori, ma lascia stare gli esumati.
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