Scontri in Egitto
Chi sono gli incappucciati armati in piazza al Cairo?
“Ci siamo infilati in una trappola”, si disperavano ieri i manifestanti egiziani che dopo il venerdì di preghiera a piazza Tahrir hanno marciato fino al ministero della Difesa, ad Abbasiya, una brutta area spoglia del Cairo dominata da un cavalcavia. Come era già successo mercoledì scorso, sono scoppiati scontri con la polizia – che ha sparato lacrimogeni e steso filo spinato per proteggere l’edificio – ma sulla via di fuga era in attesa la baltageyah, la teppaglia pagata con i soldi del governo per attaccare le proteste con coltelli e bastoni.
“Ci siamo infilati in una trappola”, si disperano i manifestanti egiziani che dopo il venerdì di preghiera a piazza Tahrir hanno marciato fino al ministero della Difesa, ad Abbasiya, una brutta area spoglia del Cairo dominata da un cavalcavia. Come era già successo mercoledì scorso, sono scoppiati scontri con la polizia – che ha sparato lacrimogeni e steso filo spinato per proteggere l’edificio – ma sulla via di fuga era in attesa la baltageyah, la teppaglia pagata con i soldi del governo per attaccare le proteste con coltelli e bastoni. “E’ un massacro”, raccontavano in diretta, e ci sono centotrenta feriti: ma il bilancio non è grave come quattro giorni fa (venti morti). Gli arrestati sono almeno centosettanta. Oltre alla polizia e alle forze paramilitari di sicurezza, hanno partecipato alle operazioni di sgombero anche le forze speciali dell’esercito. Tra agenti in borghese, picchiatori e soldati in divisa che raccoglievano e lanciavano pietre è difficile definire i ruoli: dal tetto di una moschea vicina sono partiti colpi d’arma da fuoco e non erano contro i militari.
Ai salafiti che protestano per l’esclusione del loro candidato, Hazem Abu Ismail, dalle elezioni presidenziali del 23-24 maggio si sono aggiunti in solidarietà anche i movimenti dei giovani del febbraio 2011 e i Fratelli musulmani. Il numero totale della gente in piazza all’inizio non è stato alto, la violenza è stata più cruda del solito e il senso generale delle proteste è apparso debole: perché manifestare contro il potere della Giunta militare ora, a venti giorni da elezioni presidenziali che ridurranno inevitabilmente il potere dei generali? Come per un riflesso naturale, però, gli scontri hanno attirato ad Abbasiya altri manifestanti da tutta la città, fino a quando il numero è salito a diverse migliaia, secondo lo stesso meccanismo che in passato ha trasformato piazza Tahrir nel centro delle rivolte.
C’è un fatto che non viene molto sottolineato: mercoledì, al culmine delle violenze, sono apparsi uomini con il volto mascherato, armati di Kalashnikov, che si chiamavano l’un l’altro con nomi in codice per non farsi riconoscere. Era un servizio d’ordine schierato dalla parte degli islamisti e contro l’esercito e la polizia. Una prova di milizia armata in pieno Cairo, a pochi passi da uno dei centri del potere.
Da quando il presidente Hosni Mubarak è stato cacciato e da quando la guerra nella vicina Libia ha gettato sul mercato nero migliaia di armi, in città si è sparsa la voce: la Gamaa islamiyah, la fazione estremista sunnita che ha promesso di rinunciare alla violenza e che lo scorso inverno ha partecipato alle ultime elezioni parlamentari starebbe accumulando fucili d’assalto. Per ora in funzione difensiva: ma vale la pena notare che da al Qaida in poi ogni movimento terrorista sunnita ha giustificato le proprie azioni, in modo lato o no, con la necessità di proteggere la comunità musulmana. In piazza c’era anche Muhammad al Zawahiri, membro di Gamaa Islamiyah e fratello maggiore del più conosciuto Ayman, capo di al Qaida, senza incarichi ufficiali ma dotato di una grande carica simbolica. Il partito ultraislamista sostiene al voto il candidato Abou Fotouh, religioso ma rivale dei Fratelli musulmani.
La Costituente sospesa
Il nuovo ciclo di violenza scoppiato nella capitale segna la rottura della tregua diffidente tra il blocco islamico uscito vittorioso dalle elezioni parlamentari e i militari. La nomina dell’Assemblea costituente che dovrà scrivere la nuova Carta è stata sospesa, perché gli islamici sono troppo numerosi e per il boicottaggio degli altri partiti. I singoli candidati hanno interrotto la campagna elettorale e c’è il potenziale per un rinvio del voto, una decisione che trascinerebbe ancora più a lungo un dopo Mubarak che sembra infinito e che darebbe un altro colpo alla credibilità dell’economia – i disordini di mercoledì hanno bruciato 4 miliardi di sterline egiziane.
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