Calci paralleli

Scudetto Juve, ecco perché Conte è stato più bravo di Allegri

Sandro Bocchio

Antonio Conte era abituato a vincere, da allenatore: promozione a Bari e a Siena. Ora ha ricominciato a fare ciò che gli veniva benissimo da giocatore: collezionare scudetti. Cinque erano stati con la Juventus e da domenica è ripartito, con l'ambizione di non fermarsi più. Massimiliano Allegri ha dovuto applaudire a denti stretti il successo bianconero. Conte è stato bravo come lui, titolo nell'annata del debutto. Conte è stato più bravo di lui, nella gestione della squadra e persino nelle polemiche.

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    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca ad Antonio Conte e Massimiliano Allegri.

    Antonio Conte era abituato a vincere, da allenatore: promozione a Bari e a Siena. Ora ha ricominciato a fare ciò che gli veniva benissimo da giocatore: collezionare scudetti. Cinque erano stati con la Juventus e da domenica è ripartito, con l'ambizione di non fermarsi più. Ha portato un titolo italiano che in casa bianconera mancava dal 2003, per chi si affida a sentenze sportive e almanacchi. Oppure dal 2006, per chi si affida a sentenze del campo e comune sentire dei tifosi. Conte non cade nel trappolone, "per me è il primo" dice. E fa benissimo a tracciare una linea da cui tutti dovrebbero prendere nuove mosse, per sedare polemiche e svelenire il clima intossicato del calcio italiano. Lui ha portato un'aria nuova che sapeva tanto di antico. Un calcio fatto di italiani (Lichtsteiner, Vidal e Vucinic gli unici stranieri titolari) ma non all'italiana: pressing e possesso del campo, per la gioia di Sacchi. Però, rispetto a quello del Milan “olandese”, capace di mutare pelle nel corso del campionato, come uomini e sistema di gioco. Conte non si è innamorato di un'idea ma ne ha assemblate molte per porle al servizio del risultato, come accadeva alle squadre di Lippi e Capello: muscolari, feroci, mai dome. Ha dato ragione all'intuizione di Andrea Agnelli, quando ha voluto uno juventino per la Juventus. Il vecchio capitano ha saputo toccare le corde giuste ("Bisogna riabituarsi alla parola scudetto", ammonì in estate), ha gestito situazioni potenzialmente esplosive come quella del suo ex compagno Del Piero, ha ridato identità e orgoglio alla squadra nel nome del collettivo. Non emerge un singolo, emerge la Juventus.
    Un gruppo che ha avuto la meglio sui singoli altrui: collettivo contro primedonne, fabbrica contro lustrini, Fiat contro Mediaset.

    Massimiliano Allegri ha dovuto applaudire a denti stretti il successo bianconero. Conte è stato bravo come lui, titolo nell'annata del debutto. Conte è stato più bravo di lui, nella gestione della squadra e persino nelle polemiche, in cui la Juventus ha sempre dato l'impressione di una serenità superiore rispetto al Milan. E la fine rossonera è cominciata nel giorno in cui si è deciso (complice la svista su Muntari) di passare dalla battaglia calcistica a quella dialettica. Frasi che hanno tolto ulteriore lucidità nelle scelte, come già si era intravisto nello stop alla cessione di Pato a gennaio. Le decisioni forti erano state la forza di Allegri, dall'addio a Ronaldinho all'esilio interno di Pirlo: con il brasiliano al Psg – e l'arrivo di Tevez – avrebbe completato l'opera. L'intervento presidenziale ha però bloccato tutto e il ritorno a tempo pieno di Berlusconi nelle faccende calcistiche ha destabilizzato il tecnico, invece di rafforzarlo: non con dichiarazioni evidenti ma con sussurri e malumori più o meno fedelmente riportati dal cronista di turno. Ad Allegri non è bastato essere vaccinato dagli anni cagliaritani con Cellino: non gli è sfuggita di mano la squadra ma la compattezza è stata incrinata, fino al suicidio interno contro Fiorentina e Bologna, che ha segnato la fine dei rossoneri. Non è mancata la stella, perché l'annata di Ibrahimovic è stata straordinaria. Sono mancate le spalle ed è venuta meno la regia, il segreto di ogni spettacolo. La Juventus è stata più brava a fare “sistema”: tutti uniti alla caccia dell'obiettivo, dal presidente al magazziniere. Questa era stata la forza rossonera anche nei momenti meno felici, questa sembra essere venuta dolorosamente meno quest'anno.

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