Il ritorno della Juve
Il potere Juve è l’orgoglio di essere odiati di nuovo. Non ne poteva più nessuno della Juventus incompresa e quindi compresa, di quella perdente, di quella inutile. Sesta? Lo scudetto cambia perché rimette le cose a posto: gli juventini godono nel sentirsi i nemici di tutti, gli altri godono nell’aver trovato l’avversario da detestare. La storia dei 30 scudetti vale per questo: li rivendicano Agnelli, Conte, i giocatori. La terza stella è la fierezza dell’antipatia.
Leggi il ritratto di Andrea Agnelli di Beppe Di Corrado
Il potere Juve è l’orgoglio di essere odiati di nuovo. Non ne poteva più nessuno della Juventus incompresa e quindi compresa, di quella perdente, di quella inutile. Sesta? Lo scudetto cambia perché rimette le cose a posto: gli juventini godono nel sentirsi i nemici di tutti, gli altri godono nell’aver trovato l’avversario da detestare. La storia dei 30 scudetti vale per questo: li rivendicano Agnelli, Conte, i giocatori. La terza stella è la fierezza dell’antipatia. Tireranno fuori regolamenti e consuetudini per una cosa che alla fine altro non è se un terreno di scontro ideologico. Juventinismo e antijuventinismo, col primo che adesso ha messo la ruota davanti. Qualcosa che vale questo: abbiamo vinto e adesso parliamo noi. Il ritorno della Juve non è mai un inizio. Si congiunge sempre con quello che c’era prima e con quello che ci sarà: vinsi, vinco, vincerò. E’ l’unica squadra che riesce a far convivere successi diversi per storie, epoche e personaggi: a un certo punto compare Boniperti, poi Platini, c’è la continuità perpetua degli Agnelli, c’è la maglia rosa dei primi del Novecento che si ripropone, c’è Moggi sfumato quanto pare e quanto basta, ma presente nelle teste dei tifosi. La Juventus è. Senza un era e senza un sarà: presente. Non è possibile parlare di un prima e di un post. E’ il suo bello (per i suoi amanti) e il suo brutto (per i detrattori). Uno scudetto riapre i ricordi e le ferite allo stesso modo.
Dicono: cambia il potere del calcio, adesso. E’ la suggestione del successo che modifica la percezione della forza: la Juve ha sempre contato molto come club, anche in questi anni di delusioni e di mediocrità sportiva. Adesso che vince sembrerà più potente: le senti già le voci di milanisti, interisti, romanisti, laziali. Tutti insieme, pronti a ricordare che una Juve vincente è anche una Juve pericolosa. E’ la meraviglia del tifo che trasforma convinzioni in verità assolute. La Juve non è cambiata, così come non sono cambiati gli juventini. Si sono soltanto adeguati alle condizioni. La manifestazione plastica c’è stata domenica sera a Milano. Perché un carosello bianconero nella città del Milan e dell’Inter non si ricorda. Invece c’era. Sembravano i cristiani usciti dalle catacombe: fedeli di una religione avversata e improvvisamente ritornati alla luce. Quattordici milioni di italiani rappresentati da qualche centinaio di sfidanti della buona creanza sportiva. Vale la pena essere tifosi per questo: per detestarli o per stare con loro. Il potere della Juventus è questo: molto o poco che sia è la capacità di trasformare tutto in una rivalità continua. E’ tornata la Juve o la proiezione che gli altri hanno della Juve? La domanda non ha risposta semplicemente perché in fondo è la stessa cosa. Vale per tutti quelli che hanno vinto a lungo: è la grandissima e salvifica opportunità di riassumere in sé l’amore di molti e l’odio di altrettanti. E’ quello che è mancato per qualche tempo: c’è riuscita giusto l’Inter di Mourinho. L’orgoglio di essere antipatici agli altri arriva quando sei convinto di essere migliore e più bravo. Non c’è mai una verità unica, nel pallone. Con la Juve meno che con gli altri: poi però questi si prendono uno scudetto spendendo soldi, giocando bene, senza perdere mai, con un allenatore nuovo, con un’idea, con uno stadio diverso dagli altri. Meritano, semplicemente. E meritando tornano a essere detestati. Felici tutti: loro, gli altri. E’ il calcio.
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