Basta un modulo e in Argentina si cambia sesso. Sono i nuovi diritti, bellezza
“Ogni persona può chiedere il cambio di genere, di nome e di immagine, a partire dal momento in cui non corrispondano più a come quella persona si autopercepisce”. E’ la nuova legge argentina sul cambio di sesso: “on demand”, senza nemmeno più la noia di doversi sobbarcare operazioni chirurgiche, trattamenti ormonali e altre diavolerie mediche, e men che meno quella di esibire referti di psicologi o pareri di giudici, come era stato necessario fino a questo punto.
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“Ogni persona può chiedere il cambio di genere, di nome e di immagine, a partire dal momento in cui non corrispondano più a come quella persona si autopercepisce”. E’ la nuova legge argentina sul cambio di sesso: “on demand”, senza nemmeno più la noia di doversi sobbarcare operazioni chirurgiche, trattamenti ormonali e altre diavolerie mediche, e men che meno quella di esibire referti di psicologi o pareri di giudici, come era stato necessario fino a questo punto. Da ora in poi (da mercoledì scorso, per la precisione, giorno in cui il Parlamento di Buenos Aires ha approvato la nuova normativa), da quelle parti basterà recarsi al Registro nazionale delle persone (l’anagrafe, insomma), riempire l’apposito modulo e consegnarlo allo sportello. Purché siate maggiorenni, e anche se apparite come una bionda vaporosa e incinta, ma proprio quel giorno vi siete svegliate con la netta e invincibile autopercezione che il sesso femminile non vi corrisponda più, nessuno potrà negarvi il nuovo status di maschio (e viceversa, naturalmente), con relative modifiche del certificato di nascita e di documenti e anche con l’opportunità di ottenere, a carico del servizio sanitario nazionale, eventuali interventi per adeguare il corpo a quanto dichiarato sulla carta di identità.
L’ultima frontiera del fai-da-te in tema di gender arriva, non troppo a sorpresa, dall’America latina, e rimane da capire se, per essere davvero à la page, davvero primatista assoluto nelle Olimpiadi dei “nuovi diritti”, il paese governato da Cristina Kirchner – che ha legalizzato il matrimonio gay nel 2010 – non pensi anche all’introduzione di sfumature diverse nell’autopercezione del sesso (pardon, del genere). Perché mettere limiti quando i limiti non si portano più? Perché discriminare chi si sente un po’ maschio e un po’ femmina, magari a ore o a giorni alterni? Non avrebbe diritto anche lui/lei a un riconoscimento burocraticamente corretto, senza quell’obsoleto intralcio di un’identità sessuale che, diciamolo, si sta rivelando solo una palla al piede? E se davvero, come commenta entusiasta un esponente del movimento LGBT argentino citato da Abs-Cbn News, “la legge segna una vera rottura” in merito al fatto che “il genere di un individuo registrato sul suo documento di dentità sarà deciso soltanto a partire dalla sua valutazione”, non sarebbe infinitamente più comodo e logico abolirla del tutto, la segnalazione del sesso sulla carta d’identità? Pensateci: una volta sottratta a qualsiasi forma di oggettività – anzi, stabilito che l’oggettività non esiste, in tema di autopercezione del sesso, e se esiste è fascista e illiberale, perbacco – ha ancora senso incaponirsi con quel rottame del tempo che fu, la distinzione tra maschio e femmina? Nel raccontare la svolta argentina, il Monde constata con un po’ di smarrimento (e magari di invidia) che laggiù hanno fatto un bel passo avanti, mentre in Francia si sta ancora dibattendo della possibilità di accedere al cambio di sesso non più dopo essere passati per un giudice ma, in accordo don la risoluzione 1728 del 2010 del Consiglio d’Europa, con il supporto di due testimoni.
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