Vendita di La7, così Bernabè si divincola tra conti, soci scalpitanti e politici

Michele Arnese

Era un Franco Bernabè come al solito tonico quello che ha affrontato ieri gli analisti sui conti di Telecom Italia. Le attenzioni si sono ovviamente concentrate sull’avvio, deciso due giorni fa dal cda della società presieduta da Bernabè, della dismissione del ramo tv, compresa quindi La7 controllata da Telecom Italia Media. Sarà pure cresciuta La7, ma gli analisti ritengono che le operazioni propedeutiche alla vendita siano dovute anche a esigenze di cassa.

    Era un Franco Bernabè come al solito tonico quello che ha affrontato ieri gli analisti sui conti di Telecom Italia. Le attenzioni si sono ovviamente concentrate sull’avvio, deciso due giorni fa dal cda della società presieduta da Bernabè, della dismissione del ramo tv, compresa quindi La7 controllata da Telecom Italia Media. TI Media “ha un grande valore”, ha detto ieri Bernabè, e la decisione di separare le attività di broadcasting da quelle televisive con La7 è legata anche al fatto quest’ultima “è cresciuta in modo significativo sia come share televisivo, sia come raccolta pubblicitaria”. Sarà pure cresciuta La7, ma gli analisti ritengono che le operazioni propedeutiche alla vendita siano dovute anche a esigenze di cassa. E, come ha scritto ieri Giovanni Pons del quotidiano la Repubblica, “il core business del gruppo non è quello dei contenuti televisivi”. Bernabè ha aggiunto: “Vogliamo lasciarci le mani libere e mantenere tutte le opzioni aperte: vendere le attività in combinazione, cedere i singoli asset o l’intera azienda”.

    D’altronde il peso su Telecom del debito, seppure alleviato e sotto controllo, assicurano i vertici del gruppo di tlc, tiene in apprensione gli azionisti, a partire da quelli di peso riuniti in Telco, la holding che controlla la società. Si sa, ad esempio, che in Mediobanca si sbuffa. L’istituto di Piazzetta Cuccia, nel primo trimestre dell’anno, ha dovuto registrare svalutazioni per 135 milioni di euro: 113 milioni per Telco. Anche un altro grande socio, seppure per ragioni diverse, mugugna. Come ha rivelato la Repubblica, dirigenti di spicco di Generali in diverse modalità e tempi hanno cercato di tutelare il top manager Luca Luciani, dimissionato dal gruppo presieduto da Bernabè per un’inchiesta su sim false di Telecom Brasil guidata proprio da Luciani. “Sicuramente Luca e il suo team hanno fatto un ottimo lavoro in Brasile – ha detto ieri Bernabè – ma la conclusione di una serie di indagini ha prodotto sempre più rumore che non ha giovato a Luca e all’azienda, così abbiamo deciso di staccarci da lui”.
    E i rapporti con la politica? La stima che pressoché unanimemente Bernabè vanta anche nelle istituzioni va considerata in connessione con l’esigenza avvertita dall’esecutivo tecnico di imprimere una svolta negli investimenti per l’innovazione. Il governo, compreso il Tesoro e il ministero dello Sviluppo economico retto da Corrado Passera, seguono con attenzione, ad esempio, l’impegno della Cassa depositi e prestiti che tramite Metroweb (partecipata anche da banche italiane e straniere) intende realizzare non solo a Milano ma anche nelle maggiori trenta città la rete di nuova generazione in fibra ottica, la cosiddetta super banda larga. Ma nei palazzi della politica si ritiene che Telecom sul tema abbia un atteggiamento atarassico.

    La società telefonica ribatte snocciolando di solito numeri rilevanti sugli investimenti effettuati e programmati, e nel caso della rete in fibra ottica indica nel progetto Vectoring una risposta alternativa alla super banda larga. Però i vertici di Metroweb, a partire dall’ad Alberto Trondoli, in un’audizione parlamentare hanno certificato che, confrontando i vari piani, a livello sistemico il Vectoring non è quello più avanzato. Invece gli uomini di Bernabè non concordano, rimarcando tra l’altro che è azzardato sviluppare l’offerta quando la domanda non ha ancora raggiunto i livelli sperati. Significativo del clima politico è stato il caso dell’emendamento approvato in maniera bipartisan che ha fatto gridare Bernabè “all’esproprio incostituzionale”: l’emendamento al decreto Semplificazioni punta a liberalizzare i servizi di manutenzione della rete. “In questo settore il Parlamento è più liberista del governo”, mormora un parlamentare che ha votato a favore.