Atene, esterno giorno con macerie

Dimitri Deliolanes

Il centro di Atene è una grande Elle. La gamba più corta è costituita dai tre grandi vialoni che uniscono piazza Syntagma con piazza Omonia, dalla “Costituzione” alla “Concordia”. Due estremi, a meno di un chilometro di distanza, appena due fermate della metro: a Syntagma c’è il Parlamento, un enorme palazzone neoclassico, costruito per essere il palazzo reale di Ottone, il primo sovrano della Grecia indipendente, opera degli architetti bavaresi che si era portato appresso, con tanto di giardino alle spalle, ora parco pubblico.

    Il centro di Atene è una grande Elle. La gamba più corta è costituita dai tre grandi vialoni che uniscono piazza Syntagma con piazza Omonia, dalla “Costituzione” alla “Concordia”. Due estremi, a meno di un chilometro di distanza, appena due fermate della metro: a Syntagma c’è il Parlamento, un enorme palazzone neoclassico, costruito per essere il palazzo reale di Ottone, il primo sovrano della Grecia indipendente, opera degli architetti bavaresi che si era portato appresso, con tanto di giardino alle spalle, ora parco pubblico. La grande piazza di fronte deve al suo nome all’adunata sediziosa degli ateniesi che nel 1844 hanno imposto a Ottone, giovane ma assolutista, di concedere al regno una Costituzione. Invece a Omonia c’è l’inferno. Alla fine del piccolo parco dietro al Parlamento c’è palazzo Zappion, dove è stato collocato il centro stampa per i quasi mille inviati delle elezioni. Mi dicono che gli italiani erano al secondo posto, subito dopo i tedeschi e prima dei turchi. Da lì bastano due passi per entrare subito nel cuore della crisi. A Syntagma sono ancora evidenti le ferite delle durissime battaglie di piazza combattute negli ultimi due anni e mezzo. Il marmo della fontana al centro è stato sbeccato per ricavarne proiettili da lancio, lo stesso è capitato al marmo della balaustra e dei gradini del lussuosissimo hotel che si affaccia di lato, il Grande Bretagne. Fino a un mese fa si provvedeva a rapidi restauri, ora ci si è arresi, è una fatica di Sisifo. Nei caffè si gode il sole estivo e si sorseggia il tradizionale frappè, mentre si sbeffeggiano i nuovi onorevoli e si raccontano i misfatti dei celebri non eletti (più della metà dei componenti del governo Papademos). Syriza va per la maggiore: Tsipras piace alle signore che un decennio fa ammiravano l’eleganza dell’allora sindaco Dimitris Avramopoulos, un conservatore ex diplomatico. I greci adorano la vita da caffè. Ogni gruppo, in base al livello culturale, le preferenze politiche, l’età, ha il suo caffè, ma tutti sono convinti che alla fine si voterà di nuovo a giugno. Si uscirà dall’euro? No, sarebbe una catastrofe per noi (greci) e per loro (gli europei).

    Uno dei vialoni che conducono verso Omonia si chiama Panepistimiou (dell’Università), perché passa davanti al peristilio dell’Ateneo. Per la verità gli edifici in puro stile Pericle sono tre, uno a fianco dell’altro: oltre all’Università, c’è la Biblioteca Nazionale e l’Accademia. Ma è lo spazio davanti all’Ateneo a essere costantemente invaso da striscioni di protesta, tende di contestatori e vu’ cumpra’: Cd e Dvd taroccati, cianfrusaglie made in China, libri usati, ma anche droghe leggere e pesanti. La polizia, ammesso che lo voglia, non può intervenire, perché vige un diritto d’asilo pieno e assoluto. Si tenta da anni di ridimensionarlo, ma studenti e professori gridano subito alla “repressione della cultura”.

    Dall’altra parte della strada giacciono ancora i ruderi dei palazzetti neoclassici dati alle fiamme da bande di anarchici insurrezionalisti il 13 febbraio. Sembra che abbiano provato a tirare molotov anche alla Biblioteca ma non ci siano riusciti. Seguendo le tracce degli incendi, ci si inoltra nella parte vecchia della città, quella ai piedi dell’Acropoli, che porta fino all’antica Agorà. Per restaurarla e salvare gli ultimi palazzi neoclassici, sopravvissuti alla massiccia speculazione del periodo dei colonnelli, gli ateniesi hanno lottato strenuamente per più di un ventennio. Ora tutto è andato letteralmente in fumo.
    Sulla Panepistimiou gli unici edifici che danno segni di vita sono le banche e qualche servizio pubblico. I negozi hanno da tempo abbassato le serrande e sulle vetrine vuote svettano gli affittasi e i vendesi. E man mano che ci si avvicina a Omonia, il paesaggio cambia completamente. Ai passanti frettolosi si aggiungono sempre più numerosi i tossici, ciondolanti e coperti di stracci. Se si svolta a sinistra ci si addentra a Exarchia, il quartiere studentesco e ribelle.

    Nell’isola pedonale tra il Politecnico e il bellissimo Museo Nazionale ci sono centinaia di asiatici che si iniettano eroina di fronte a tutti. Immigrati tossicodipendenti penso che si incontrino solo in Grecia. A pochi metri di distanza, i poliziotti in assetto antisommossa difendono il ministero della Cultura. Sono sempre in allarme: uno di loro è stato gravemente ferito tre anni fa in un attacco terrorista. E agli anarchici di Exarchia piacciono molto gli attacchi a sorpresa a colpi di molotov. Ce n’è almeno uno a settimana. La polizia è convinta che tra il traffico di eroina e certi gruppi estremisti ci sono solidi legami, teorizzati peraltro dai vecchi “comontisti” italiani, dimenticati in patria ma ben noti in Grecia. Un collega giovane mi spiega che, effettivamente, il problema c’è: mentre andiamo verso l’omonima piazzetta, mi indica i manifesti sui muri e mi spiega le posizioni di ogni gruppo, questi sono pacifisti, questi altri dei veri delinquenti. Alcuni manifesti sono decisamente deliranti: l’Organizzazione per la ricostruzione del Partito comunista denuncia che dietro la crisi greca c’è la Russia. Ci imbattiamo anche in adesivi in italiano e spagnolo. Exarchia è la capitale dell’antagonismo europeo.
    A Exarchia i picchiatori di Alba d’Oro non osano farsi vedere. Ma basta attraversare il viale della gambetta lunga della Elle, subito dopo Omonia, e ti ritrovi a Ayios Panteleimon, il quartiere ad alta densità migratoria. Due energumeni in maglietta (ma senza distintivi) sostano minacciosi a braccia conserte di fronte a un grande magazzino di profumi. Entrando si sentono vari idiomi balcanici e molti clienti sono scuri di pelle, ma tutto fila liscio. Nei negozi più piccoli le insegne parlano albanese, ucraino, cinese, pachistano. Una collega che abita da queste parti mi ha detto che è incappata parecchie volte nelle ronde naziste, una volta perfino all’uscita della metro. E’ bruna, tipo mediterraneo, e le chiedono sempre i documenti. Proprio in mezzo al quartiere c’è la chiesa di Ayios Panteleimon che alla fine della messa domenicale organizza un piccolo rinfresco. Ogni volta c’è la fila per bere un succo di frutta e mangiare un biscottino. Tanti immigrati, magari islamici, ma anche tanti greci. Il parroco Maximos è molto attivo: ha concesso alcuni capannoni della chiesa ai senza tetto e ha organizzato anche un rudimentale ambulatorio con medici volontari. Non tutti i parrocchiani approvano, ma sono ormai una cinquantina le mense della chiesa ortodossa e di organizzazioni non governative sparse in ogni angolo dell’Attica. La crisi dei consumi, anche alimentari, è evidente nei supermercati. Una catena austriaca ha deciso di abbandonare il mercato greco e i grandi distributori rimasti si sono adattati: niente prosciutto di Parma o vini francesi, ma sottomarche a prezzi scontati. E anche così il carrello è sempre più leggero. Uno degli aspetti positivi della crisi è la scomparsa del traffico. Fino a due anni fa il centro di Atene era una bolgia infernale, con i claxon che non davano tregua. All’ora di punta trovare un taxi (con tariffe a un terzo di quelle italiane) era un’impresa. Ora la gente si sposta con i mezzi pubblici e mette in vendita la macchina. Con poche migliaia di euro è possibile acquistare auto bellissime con pochissimi chilometri, ma gli acquirenti scarseggiano. E i taxi se ne stanno tristemente in fila nelle piazze, aspettando tempi migliori. Come le prostitute, per lo più africane, che di notte dilagano in ogni angolo del centro, cinque euro a prestazione.

    La cosa che impressiona è che la campagna elettorale è finita domenica ma ci sono pochissimi manifesti dei candidati. In un’epoca di vacche magre, i partiti sono stati parsimoniosi. Solo piccoli comizi volanti e anche questi all’inizio della campagna elettorale. Ogni comparsata pubblica dei candidati del Pasok e di Nuova democrazia provocava sonore proteste e lanci di ortaggi. Alla fine i due partiti (ex) maggiori hanno optato per le manifestazioni solo al chiuso, lasciando le piazze ai partiti anti austerità. Ma il coprifuoco per i politici più esposti non è finito. E’ capitato anche a me di sentire per strada levarsi all’improvviso un forte boato di riprovazione al passaggio di qualche (ex) deputato. E’ dura anche per i giornalisti. I giornali degni di questo nome sopravvissuti alla crisi sono praticamente tre. Un gruppo di estrema sinistra ha affisso dei manifesti con le foto di tre direttori “bugiardi e venduti”. Non solo per la linea mantenuta, ma anche perché avrebbero “purgato” i colleghi più scomodi. Anche le famigerate tv private non se la passano bene. Le grandi star sono scappate a Cipro e ora trasmettono telenovelas turche e talk show a basso costo con chiacchiere in libertà e finte risse. E’ urgente per loro trovare un nuovo “protettore” politico che restauri in fretta lo strapotere perduto. Intanto i giornalisti disoccupati sono 17 mila. Qualcuno è andato in Australia, in Canada o in Svezia, nelle emittenti della diaspora. Ogni tanto ricevo telefonate disperate: c’è lavoro in Italia? Ma è così in tutti i settori. Alla prima occasione i giovani laureati fuggono in Germania o negli Stati Uniti. L’Australia si è impegnata a prendere a scaglioni circa 10 mila artigiani e tecnici. Sono migliaia le famiglie con genitori disoccupati che fuggono in campagna, dove ci sono i parenti e magari un pezzo di terra da farci l’orto. Chi non ha neanche questo, deve vivere con i 400 euro di pensione della nonna. Sono i genitori dei circa 400 mila bambini denutriti di cui parla l’Unicef. L’Africa in Europa. Per strada si fa grande sforzo per mantenere un minimo di decenza. A Omonia, tra i questuanti all’ingresso della metro alcuni hanno i vestiti consunti ma di buona qualità. Altri cercano di nascondere il volto. Le signore indossano pezzi firmati ma di qualche anno fa. I ricchi vivono barricati nei quartieri residenziali come Psychicò, un labirinto pieno di verde, con piscine nascoste e la Porsche in garage. Qualcuno è stato pizzicato dal fisco grazie a Google Earth e grossi nomi della moda, come Lakis Gavalas, stanno ora in prigione, nella stessa cella dell’ex ministro della Difesa Akis Tsochatzopoulos, uno dei fondatori del Pasok. Hanno trovato nei suoi conti nascosti miliardi, non milioni, tutte tangenti per acquisti di armi. Anche i turisti sono sempre più rari. Il grosso bypassa Atene e va nelle isole. I pochi coraggiosi se ne stanno rintanati negli albergoni ed escono solo in pullman per visitare l’Acropoli e il suo bellissimo museo (quando i custodi non scioperano). Quest’anno gli arrivi di tedeschi subiranno un calo del 30 per cento. Meglio non vedere da vicino come hanno ridotto questo paese.