Calci paralleli

Guidolin e Donadoni, la rivincita degli spigolosi

Sandro Bocchio

"Il carattere? L'ho anche smussato…". Ma a Francesco Guidolin non basta, nel calcio conta la prima impressione, quella che ti segna. Inutile fare risultato perché le grandi s'innamorano dell'Idea (vedi Roma-Luis Enrique) o del nuovo che avanza (vedremo Inter-Stramaccioni), lasciandoti in provincia. Roberto Donadoni, se possibile, è ancora più spigoloso di Guidolin. Incide l'origine bergamasca, incide l'incapacità di intessere rapporti d'interesse. Un imbarazzo che emerge quando diviene allenatore e non può più nascondersi dalle interviste.

    Tutti i lunedì il Foglio.it propone brevi ritratti in parallelo di due protagonisti del calcio italiano. Oggi tocca a Francesco Guidolin e Roberto Donadoni.

    "Il carattere? L'ho anche smussato…". Ma a Francesco Guidolin non basta, nel calcio conta la prima impressione, quella che ti segna. Inutile fare risultato perché le grandi s'innamorano dell'Idea (vedi Roma-Luis Enrique) o del nuovo che avanza (vedremo Inter-Stramaccioni), lasciandoti in provincia. Allora non resta altro che il sottile piacere di dimostrarsi ancora una volta il migliore, riprendendosi la Champions League pur se il ranking Uefa ci ha tolto una squadra: dal quarto al terzo posto e preliminari assicurati all'Udinese per il secondo anno consecutivo. Guidolin sognava una big, alla fine se l'è costruita in casa, apice di una carriera sempre sgobbona. Comincia giovanissimo, le sue squadre hanno subito qualcosa in più, per gioco e dedizione: i due segnali per capire che un allenatore c'è. Vince anche, a Vicenza. Una Coppa Italia unica e irripetibile, la semifinale della defunta Coppa delle Coppe, in cui perde contro il Chelsea, non contro il Cittadella. Non basta. Provincia era e provincia resta, rischiando di passare alla storia più per gli sfoghi (l'apice: "Bologna città di merda", urlato al suo pubblico) che per capacità oggettive. A Udine conquista l'Uefa e lo cacciano; a Palermo conquista la A e di nuovo l'Uefa e lo ricacciano; a Parma vince il campionato di B e stavolta se ne va lui. Torna a Udine con un programma societario ben chiaro. Salvarsi e incassare. Fa di più e se la gioca con le grandi, pur quando gli vendono i migliori senza sostituirli. E Guidolin si sfoga in bicicletta, pensando alla prossima salita, alla prossima partita e alla prossima cessione. Con la rabbia di chi non è stato capito, con la certezza di essere bravo.

    Una rabbia che aveva dentro anche Roberto Donadoni. Lui, se possibile, è ancora più spigoloso di Guidolin. Incide l'origine bergamasca, incide l'incapacità di intessere rapporti d'interesse. Un imbarazzo che emerge quando diviene allenatore e non può più nascondersi dalle interviste, come ai tempi in cui vinceva qualcosina con il Milan. Resta uomo di campo, non sa fare l'amicone. Il suo ex compagno Albertini lo vuole sulla panchina dell'Italia al posto del Lippi mondiale, in un 2006 ricco solo di confusione istituzionale. A Donadoni sono riservati commenti maligni per il curriculum vitae scarsino: ha allenato il Lecco, ha portato in A il Livorno, è stato esonerato dal Genoa e dallo stesso Livorno. Lui non ribatte, lavora e regge l'eredità tedesca conquistando la fase finale a Euro 2008 dove perde ai quarti (ai rigori) contro la Spagna, che avrebbe dominato Europa e Mondo nello spazio di due anni. Ma Donadoni non ha appeal e Abete, il vecchio-nuovo presidente federale, non vede l'ora di riprendere lo scalpitante Lippi, con le conseguenze sudafricane che sappiamo. Sembra l'inizio della fine: a Napoli lo cacciano, a Cagliari viene licenziato in estate da Cellino per critiche alla campagna acquisti. Donadoni incassa e sta zitto, fino a quando lo chiama un Parma in crisi. Qui riscrive una piccola storia, salvando la squadra e centrando sette vittorie consecutive, come neppure ai tempi finanziariamente drogati di Tanzi. E anche lui lavora per la società, che già calcola quanto potrà incassare con Giovinco. Al tecnico non resterà che ripartire lasciando, come Guidolin, i grandi palcoscenici a chi è meno dotato e più – vogliamo dirlo? - un pizzico più ruffiano.

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