Sono rimorti i negoziati

La Grecia vota di nuovo con lo spettro della dracma e del diktat Ue

Dimitri Deliolanes

A nulla è servito l’estremo, drammatico appello del presidente greco, Karolos Papoulias: “C’è il pericolo reale di un crollo. Ve lo dico perché il premier Papademos, il governatore della Banca di Grecia e il ministro delle Finanze mi hanno sottoposto un documento. Dice che, se continua l’attuale situazione di ingovernabilità, i conti bancari continueranno a svuotarsi e c’è il pericolo reale di un crollo”. Ma anche l’ultimo tentativo di creare un governo tecnocratico stile Monti è caduto nel vuoto.

    Atene. A nulla è servito l’estremo, drammatico appello del presidente greco, Karolos Papoulias: “C’è il pericolo reale di un crollo. Ve lo dico perché il premier Papademos, il governatore della Banca di Grecia e il ministro delle Finanze mi hanno sottoposto un documento. Dice che, se continua l’attuale situazione di ingovernabilità, i conti bancari continueranno a svuotarsi e c’è il pericolo reale di un crollo”. Ma anche l’ultimo tentativo di creare un governo tecnocratico stile Monti è caduto nel vuoto. In base alla Costituzione, si impone un nuovo ricorso alle urne a giugno: i mercati hanno reagito male, il Fmi dice di essere pronto a tutto, a Bruxelles si parla soltanto delle conseguenze sull’Europa del ritorno della dracma ad Atene.
    Prima della riunione era stata resa pubblica una nota di Panos Kammenos, leader del piccolo partito di centrodestra Greci indipendenti, fuoriusciti da Nuova democrazia. Era l’assicurazione di Kammenos che, in caso di pericolo per la sicurezza del paese, i Greci indipendenti erano disposti a sostenere un governo di coalizione. Tutto inutile.

    Il negoziato s’è spezzato a causa delle misure previste dal cosiddetto “Memorandum 2”, firmato a ottobre: nuovi sanguinosi tagli per 11,5 miliardi, l’avvio di un programma di 150 mila licenziamenti nel settore pubblico, svendita delle imprese pubbliche per complessivi 50 miliardi, concessione di beni pubblici, come le coste protette di Rodi, per “valorizzazione turistica”. Non solo: entro giugno si dovrebbe riformare la Costituzione per fare in modo che, se e quando lo stato greco comincerà ad avere un surplus primario, sia usato all’estinzione del debito. Sono condizioni in piena continuità con la strategia che ha portato la Grecia alle soglie dell’emergenza umanitaria: nessun politico greco può dire di volerle rispettare senza rischiare il linciaggio. All’indomani delle elezioni di due domeniche fa, dopo lo schiaffo al vecchio bipartitismo, non c’era leader che non si stracciasse le vesti giurando sulla necessità di “rinegoziare” (Samaras), “riesaminare” (Venizelos) “sganciarsi” (Kouvelis) dal memorandum, approfittando del “nuovo vento che soffia in Europa”, a partire da Parigi.

    Tanta convergenza d’intenti però non è riuscita a concretizzarsi nell’unica maggioranza possibile: un’alleanza tra Nuova democrazia (108 seggi su 300), Pasok (41) e il piccolo partito della Sinistra democratica di Fotis Kouvelis (19). La condizione posta da tutti era che anche la Sinistra radicale di Syriza, il vero vincitore delle elezioni, partecipasse alla coalizione. Il perché è evidente: disarmare l’opposizione. Che nelle nuove elezioni anticipate rischia di diventare primo partito.

    Non ci voleva un genio per intuire la trappola. Anche se Alexis Tsipras, il giovane e sexy leader di Syriza, ha avuto i suoi bei guai. In un partito che comprende ben dodici anime, talvolta incontrollabili, il massimalismo è sempre in agguato. Subito dopo aver avuto il mandato, lo stesso Tsipras si è messo a giocare al rialzo, parlando di un programma di governo che prevedeva la nazionalizzazione di una serie di istituti bancari, l’aumento immediato delle pensioni e addirittura nuove assunzioni nel settore pubblico. Gli hanno spiegato che non si poteva fare e ha dovuto inviare una lettera al presidente della commissione europea, José Manuel Barroso, per spiegare che il suo unico intento era quello di “rivedere gli indirizzi” della politica europea verso la Grecia (e non solo). Intanto però alcuni suoi deputati si erano scatenati in dichiarazioni fuori da ogni realtà. Tanto che ieri il leader della Sinistra radicale ha annunciato una profonda trasformazione del partito, nell’intento di portarlo verso la sinistra riformista. Proprio come ha fatto il compianto Andreas Papandreou quando, nel 1974, ha fondato il Pasok. Sperando che tra vent’anni non si ritrovi lontano dagli estremisti ma in compagnia dei marpioni che ora affliggono Venizelos.

    Con le elezioni di giugno la vecchia classe politica greca si gioca di nuovo tutto, soprattutto la permanenza nella zona Euro o il ritorno drammatico alla dracma. E’ evidente che, se la via dello scontro con la troika è parecchio rischiosa, continuare con la politica di piccolo cabotaggio è suicidio sicuro. Accusano Tsipras di bluffare sulla reale volontà dell’Europa di rivedere la propria politica verso la Grecia, ma sono gli stessi greci, stremati da questi anni di imposizioni, ad aver lucidamente capito che l’espulsione della Grecia dall’Eurozona sarà una tragedia per il loro paese, ma molto probabilmente sarà anche un duro colpo per il progetto europeo.