Silenziatore in zona di guerra

Un omicidio troppo sofisticato nei negoziati con i talebani a Kabul

Daniele Raineri

Strano scenario di fine guerra a Kabul. Domenica il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, ha detto al Times: non siamo stati noi a uccidere Arsala Rahmani. Rahmani era il leader dell’Alto consiglio per la pace, un comitato creato dal governo di Kabul per occuparsi dei negoziati. “E’ vero – ha detto il portavoce, senza  problemi – che all’inizio delle nostre operazioni di primavera avevamo annunciato che tra i nostri bersagli ci sono anche i membri del cosiddetto Alto consiglio per la pace e siamo ancora impegnati in quella campagna, ma l’assassinio di oggi non è opera nostra”.

    Strano scenario di fine guerra a Kabul. Domenica il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, ha detto al Times: non siamo stati noi a uccidere Arsala Rahmani. Rahmani era il leader dell’Alto consiglio per la pace, un comitato creato dal governo di Kabul per occuparsi dei negoziati. “E’ vero – ha detto il portavoce, senza  problemi – che all’inizio delle nostre operazioni di primavera avevamo annunciato che tra i nostri bersagli ci sono anche i membri del cosiddetto Alto consiglio per la pace e siamo ancora impegnati in quella campagna, ma l’assassinio di oggi non è opera nostra”. Insomma: Rahmani era un nostro bersaglio e lo sarebbe ancora se fosse vivo, ma non lo abbiamo ucciso.
    Era già successo a settembre, quando il predecessore di Rahmani, il carismatico Burhanuddin Rabbani, è stato ucciso da un finto negoziatore, presentatogli da persone fidate e che invece nascondeva una bomba sotto il turbante. Una missione suicida, ma orchestrata da qualcuno con sapienza politica sufficiente per organizzare un incontro credibile. Anche in quel caso, la macchina dei media dei talebani, di solito compatta, era stata presa di sorpresa. Prima si erano assunti la responsabilità con Reuters, poi avevano negato, dicendo – per la prima volta in un comunicato – che “le informazioni a nostra disposizione non sono ancora complete” e che “per quanto riguarda la nostra posizione, non possiamo ancora dire nulla”. Era seguito il silenzio: i portavoce dei talebani avevano staccato i telefoni e si erano rifiutati di dire se l’attentato era stata una operazione riconducibile a loro, oppure a una fazione impazzita o ancora compiuta da mani estranee. La stessa uccisione di Rahmani non c’entra nulla con il modus operandi della guerriglia. Il mediatore è stato colpito nella zona governativa di Kabul, quella di massima sicurezza. Una Toyota Corolla bianca, ovvero il modello di auto più diffuso in Afghanistan, s’è avvicinata all’auto di Rahmani. Il killer ha sparato un colpo solo dal finestrino, con una pistola dotata di silenziatore: dritto al cuore, tanto che il nipote -guidatore ha creduto subito a un infarto e soltanto in un secondo momento ha capito. Sembra il lavoro di un professionista.

    Ieri è arrivata la rivendicazione dell’omicidio da parte del Mullah Dadullah Mahaz, ovvero del Fronte del Mullah Dadullah, la fazione più estremista della guerriglia, che porta il nome del leader ucciso nel 2007, combatte nel sud del paese e per proteggersi dalle operazioni americane e della Nato mantiene la sua base a Chaman, oltre il confine, in territorio pachistano, nella regione del Beluchistan. Il governo e l’esercito pachistani ne sono a conoscenza, ma non agiscono. Il Fronte del Mullah Dadullah è guidato da un ex detenuto di Guantanamo con una fortissima carica ideologica filo al Qaida, il Mullah Zakir. Nei mesi scorsi il negoziatore Rahmani era riuscito a raggiungere comandanti-chiave dei talebani nel sud e nel sud-est dell’Afghanistan per coinvolgerli nei negoziati di  pace. Difatti Rahmani aveva bypassato il comando centrale dei talebani, il Consiglio (Shura) di Quetta (una città in Pakistan dove il consiglio risiede e si riunisce) per due ragioni: la prima è che la Shura è troppo condizionata dai servizi segreti pachistani e la seconda è che ha compreso che negoziare con quella leadership centrale è una perdita di tempo, il potere è troppo frammentato, disperso.
    Sono stati i servizi segreti pachistani a ordinare l’uccisione di Rahmani? L’analista americano Bill Roggio, che segue con costanza la situazione sul terreno e ha entrature nell’intelligence americana, dice al Foglio: “Non si può dire. Il Mullah Zakir ha il proprio interesse nel distruggere il processo di pace. E quello che fa va perfettamente d’accordo con quello che vuole l’intelligence pachistana”. La Nato non ha invitato il Pakistan al summit sulla pace in Afghanistan i prossimi 20-21 maggio a Chicago.

    C’è anche altro. Fonti del Foglio a Kabul dicono che Rahmani avrebbe commesso l’errore di rivelare di essere in possesso di una lista di funzionari e politici afghani pagati dal Pakistan e anche per questo sarebbe stato tolto di mezzo con un omicidio più sofisticato delle solite operazioni di guerriglia. E’ l’attesa del fine conflitto a Kabul, e la faida fra talebani che vogliono negoziare e altri che seguono gli interessi coincidenti o dettati dall’intelligence del Pakistan prepara il paese al sempre più vicino ritiro degli americani nel 2014.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)