Grillo, un caudillo a cinque stelle

Maurizio Stefanini

"I computer sono la truffa del secolo!”, “la rivoluzione tecnologica ci fa faticare di più!”, “per anni ho creduto a Negroponte, che diceva che la tecnologia ci avrebbe reso sempre più leggeri. Invece guardate come si va in giro: con personal computer, stampatrice a laser, fax, telecomando di casa!”. Gridando questi slogan, nel 2000 Beppe Grillo chiudeva il suo spettacolo “Time Out”. Sfasciando a colpi di mazza un pc a ogni serata diceva: “Sono come un bambino, ci voglio guardare dentro!”.

    "I computer sono la truffa del secolo!”, “la rivoluzione tecnologica ci fa faticare di più!”, “per anni ho creduto a Negroponte, che diceva che la tecnologia ci avrebbe reso sempre più leggeri. Invece guardate come si va in giro: con personal computer, stampatrice a laser, fax, telecomando di casa!”. Gridando questi slogan, nel 2000 Beppe Grillo chiudeva il suo spettacolo “Time Out”. Sfasciando a colpi di mazza un pc a ogni serata diceva: “Sono come un bambino, ci voglio guardare dentro!”. Gesto di protesta contro la velocità con cui le tecnologie informatiche diventano obsolete, obbligando i consumatori a comprare pc nuovi a ripetizione. Ma soprattutto presa di distanza dall’intera civiltà tecnologica: “Sceglietevi un’unità di tempo più tollerabile. I secoli, o meglio i millenni. Pensate, pensate a un bel cucù che faccia cucù solo una volta ogni mille anni”. Nel 2005 Beppe Grillo apre il blog che in capo a quattro anni verrà giudicato da Forbes come il settimo più importante del pianeta, e oggi lo rende il primo grande leader virtuale della politica italiana. E nel 2009 il “non statuto” del Movimento cinque stelle pone addirittura Internet alla base di un’utopia di democrazia diretta: “Il Movimento 5 stelle non è un partito politico né si intende che lo diventi in futuro. Esso vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della rete il ruolo di governo e indirizzo normalmente attribuito a pochi”. Il pc, insomma, come strumento per realizzare finalmente gli antichi sogni sempre traditi o rivelatisi impossibili dell’agorà ateniese, della comune anarchica e del soviet bolscevico. D’altra parte l’e-democracy è oggi un cavallo di battaglia bipartisan: da David Graeber, leader neo anarchico del movimento Occupy Wall Street, a Ross Perot; passando per la primavera araba e la cyber dissidente cubana Yoani Sánchez. E se c’è chi ritiene che sarà la tecnologia dell’informazione a permettere di superare la democrazia rappresentativa, non manca chi invece mette l’e-democracy nel solco della liberal-democrazia più classica, con le analisi di Tocqueville sull’indispensabile ruolo della società civile. 

    I soviet, si potrebbe parafrasare Lenin, più l’informatizzazione. La connettività è appunto uno dei cinque temi che il Movimento intende portare al centro della politica, e che sono simbolicamente rappresentati dalle cinque stelle: assieme a acqua pubblica, trasporti, sviluppo e ambiente. Né manca al programma una “modesta proposta” relativa alla “graduale abolizione dei libri di scuola stampati, e quindi la loro gratuità, con l’accessibilità via Internet in formato digitale”. Come è possibile passare dalla distruzione dei pc al metterli al centro stesso della politica? Evidente la contraddizione, ma va ricordato da una parte come nel passaggio dalla Prima Repubblica alla Seconda e dalla Seconda a questa situazione che qualcuno già taccia di Terza Repubblica incipiente, l’evoluzione continua e affannosa delle proprie posizioni è diventata una regola piuttosto che l’eccezione. D’altra parte Grillo ha sempre rivendicato il diritto ad adeguarsi. “Basta con questa ossessione del passato. Una persona che ricorda tutto è penosa, precisa, insopportabile. Così un popolo. Un popolo che ha troppa memoria è violento. Guardate i serbi, che si ricordano anche uno sgarbo del 1385”. Per certi versi, poi, il Movimento si adegua in pieno a quella personalizzazione della politica tipica di tutta la Seconda Repubblica: dalla definizione dei militanti come “grillini” al volto di Grillo che appare sul sito internet che ne pubblica il programma. Ma per altri versi c’è anche una rottura netta. Prima di tutto, perché Grillo è un leader che non intende candidarsi: né per Palazzo Chigi, né per alcun incarico elettivo.

    Nel 2007, il V-Day raccolse 350.000 firme su tre proposte di legge di iniziativa popolare che chiedevano, rispettivamente, che nessun cittadino italiano potesse candidarsi in Parlamento se condannato in via definitiva, o in primo e secondo grado in attesa di giudizio finale; che nessun cittadino italiano potesse essere eletto in Parlamento per più di due legislature intere pari a 10 anni, con regola valida retroattivamente; e che i candidati al Parlamento dovessero essere votati dai cittadini con la preferenza diretta. Ebbene: Grillo si trova esattamente nella prima situazione. Nel 1988 la Cassazione lo condannò in via definitiva a un anno e tre mesi per omicidio colposo plurimo. Motivo: l’incidente stradale per cui il 7 dicembre 1981 un fuoristrada da lui guidato nei pressi di Limone Piemonte scivolò su una lastra di ghiaccio in una strada sterrata di montagna, e finì in un burrone. Grillo si salvò, saltando fuori dall’abitacolo. Ma morirono gli altri tre passeggeri: i coniugi Renzo Giberti e Rossana Guastapelle, rispettivamente di 45 e 33 anni, e il loro figlio Francesco, di 8 anni. E’ vero che, in apparente contraddizione con questa richiesta, nel 2009 Grillo cercò di candidarsi alle Primarie democratiche: ma la necessaria richiesta di iscrizione al partito fu cassata, in quanto si riconosceva “in movimenti che si oppongono apertamente al Pd”. Anche se poi fu proprio questa bocciatura a decidere Grillo di fondare formalmente il Movimento cinque stelle. Poiché quell’iniziativa peraltro apertamente provocatoria si riferiva però alla segreteria di un partito e non a un mandato elettivo, tecnicamente Grillo può rivendicare la coerenza con la sua promessa: in quanto “pregiudicato”, mai si candiderà alle politiche. A questa autolimitazione del suo ruolo Grillo fa poi corrispondere appunto questa sua mobilitazione frenetica per via internettiana e assembleare che apparentemente dà ai militanti un ruolo molto maggiore nella determinazione di programmi e obiettivi. Nella Lega nord, ultimo partito di massa ancora seriamente strutturato secondo i criteri di tesseramento della Prima Repubblica, l’iniziativa della base deve comunque ancora fare i conti con la leadership carismatica di Bossi, malgrado le recentissime evoluzioni. Mentre nel Pd il modello all’americana delle primarie si è trasformato in una sorta di incubo, con le decisioni degli iscritti sistematicamente ribaltate dalla mobilitazione di esterni spesso simpatizzanti di altri movimenti.

    Ma diamo un’occhiata ancora più approfondita al programma del Movimento. Non si limita alla “riduzione a due mandati per i parlamentari e per qualunque altra carica pubblica” e alla “non eleggibilità a cariche pubbliche per i cittadini condannati”, che erano gli obiettivi delle legge di iniziativa popolare. E neanche alla “eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, tra questi il diritto alla pensione dopo due anni e mezzo”, con in aggiunta il “divieto per i parlamentari di esercitare un’altra professione durante il mandato”, l’obbligo di “stipendio parlamentare allineato alla media degli stipendi nazionali”, il“divieto di cumulo delle cariche per i parlamentari (esempio: sindaco e deputato)”: con il che saremmo alla mera antipolitica. Si parla addirittura di “insegnamento della Costituzione ed esame obbligatorio per ogni rappresentante pubblico”, oltre che di “partecipazione diretta a ogni incontro pubblico da parte dei cittadini via Web, come già avviene per Camera e Senato”, di “referendum sia abrogativi sia propositivi senza quorum”, di “obbligatorietà della discussione parlamentare e del voto nominale per le leggi di iniziativa popolare”, di “leggi rese pubbliche on line almeno tre mesi prima della loro approvazione per ricevere i commenti dei cittadini”. Fuori del programma, i congressi di liste civiche di area grillina hanno pure parlato di “elezione diretta del difensore civico”; di “revisione degli statuti comunali in chiave di democrazia diretta che prevedano l’istituzione del bilancio partecipativo”; di “mandato vincolato per gli amministratori pubblici”; di “primarie aperte”; di un modello di “politico di leva” che si pone come “dipendente degli elettori” e che “presta servizio civile per poi ritornare alla sua professione”. Mentre nei forum on line non manca la proposta di introdurre “l’istituto del recall o revoca del mandato per giusta causa”: cioè, il referendum revocatorio degli eletti, secondo il modello chavista ma anche californiano. E’ giusto ricordare che Chávez ha fatto carte false pur di ottenere un diritto di farsi rieleggere all’infinito che cozza frontalmente con quel principio della non rieleggibilità che dopo la Rivoluzione messicana si era esteso un po’ in tutto il continente americano, sia pure con varie declinazioni. Mentre è proprio il Movimento cinque stelle che chiede di introdurre in Italia questo non rielezionismo storicamente estraneo all’Europa.

    Il grillismo, dunque, non è una variante del “socialismo del XXI secolo”. Si trova però in un rapporto particolare rispetto a quelle cinque o sei varianti dell’antipolitica che dagli anni Ottanta in poi sono emerse nel mondo occidentale. Innanzitutto i Verdi: esportati dalla Germania a partire da una cultura “post hardship” che poneva in primo piano il problema della qualità della vita, piuttosto che lo sviluppo già al centro dei modelli capitalista e marxista di società; ma poi largamente evoluti come variante di sinistra riformista o di sinistra liberale. Poi i movimenti antifiscali: nati in Scandinavia dalla protesta contro i costi eccessivi dello stato sociale dalla culla alla tomba; sono anch’essi poi rientrati nell’alveo della politica principale attraverso la rivoluzione thatcheriana e reaganiana; ma adesso con la crisi tendono a tornare nell’ambito della radicalità, specie con l’esperienza del Tea Party americano. La terza variante è quella che può essere definita lepenista: in origine identificata soprattutto con l’opposizione agli immigrati, ma che l’attuale polemica contro la deriva dell’euro precisa soprattutto come un più generale movimento per la riaffermazione delle sovranità nazionali. La quarta variante è quella latino-americana chavista: anch’essa segnata da una riscoperta del nazionalismo, ma in chiave più decisamente anticapitalista, e intrecciata anche a utopie di fuoriuscita dalla democrazia rappresentativa che poi finiscono per combinarsi con vecchie tradizioni caudilliste o indigeniste. La quinta è il recentissimo movimento degli indignati, in parte collegato a quello dei “pirati” sul Web. Bisognerebbe poi decidere se considerare una sesta variante autonoma lo slogan argentino del “se ne vadano tutti” e quello italiano-dipietrista del “tutti dentro”.

    Spesso teoricamente contrapposti tra di loro, i cinque o sei movimenti però a volte nella pratica si incontrano. La Lega, in particolare, è partita da una protesta antifiscale che però piuttosto di una richiesta di stato più snello ha formulato una richiesta di stato più piccolo dal punto di vista territoriale: in parte coincidente con la richiesta lepenista di ritorno alla sovranità; ma in parte, attraverso la retorica delle piccole patrie, anche simile alla battaglia ecologista per il territorio. Il tutto è però infine sfociato nella richiesta di una riforma federale che, sia pur diretta in altra direzione, si accosta alle proposte di innovazioni istituzionali tipiche sia del “socialismo del XXI secolo” sia degli indignati. E naturalmente il boom della Lega si è alimentato dell’ondata giustizialista di Tangentopoli, anche se alla fine anch’essa ne è stata travolta. Anche il grillismo si capisce meglio scomponendo i differenti motivi che vi sono confluiti. Innanzitutto, all’italiana, il giustizialismo sfrenato, fino all’ultima proposta della Norimberga. Ma poiché sbattere in galera più gente possibile non è un programma, in quello del Movimento prevalgono poi i motivi di provenienza ecologista e “indignata”. Rispetto ai verdi puri, però, c’è in più una indiscutibile attrazione per la ricerca di nuovi modelli istituzionali. Né manca una componente addirittura lepenista, se si pensa al modo in cui Grillo ha sparato contro la proposta di dare la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. “E’ senza senso. O, meglio, un senso lo ha. Distrarre gli italiani dai problemi reali per trasformarli in tifosi. Da una parte i buonisti della sinistra senza se e senza ma che lasciano agli italiani gli oneri dei loro deliri. Dall’altra i leghisti e i movimenti xenofobi che crescono nei consensi per paura della liberalizzazione delle nascite”.
    Quanto alla battuta sulla mafia che sarebbe meno esosa dello stato dei partiti, evoca addirittura “Non è ver che sia la Mafia”. Il paradossale romanzo libertarian scritto nel 1953 da Cyril Michael Kornbluth, in cui immaginava gli Stati Uniti dove tutti vivevano ormai un’esistenza pacifica e felice, con servizi funzionanti alla perfezione senza burocrazia, tasse o polizia, grazie al fatto che del potere si erano impadroniti la Mafia al nord e il Ku-Klux-Klan al sud, esiliando il governo federale su alcune navi da guerra al largo delle coste. Va detto che anche quell’idillio non sarebbe durato, dal momento in cui Cosa nostra e Klan prsero a litigare fra di loro.