Origini e segreti del fondo avvoltoio che sta spolpando Atene
L’avvoltoio è già ripartito dai cieli di Atene. Ma tornerà presto. Il 90 per cento dei capitali, 436 milioni di euro, che la Repubblica greca ha rimborsato due giorni fa per evitare la bancarotta è finito nelle mani di uno dei più spietati e abili “fondi avvoltoio” (vulture funds) che s’aggirano a caccia di prede, per lo più stati sovrani: il Dart Management, finanziaria ultra segreta che ha la sua base nelle isole Cayman, paradiso fiscale che ospita questo diavolo dei capitali che oggi, tra i pochi, ha motivo di festeggiare su quel che resta della Grecia.
L’avvoltoio è già ripartito dai cieli di Atene. Ma tornerà presto. Il 90 per cento dei capitali, 436 milioni di euro, che la Repubblica greca ha rimborsato due giorni fa per evitare la bancarotta è finito nelle mani di uno dei più spietati e abili “fondi avvoltoio” (vulture funds) che s’aggirano a caccia di prede, per lo più stati sovrani: il Dart Management, finanziaria ultra segreta che ha la sua base nelle isole Cayman, paradiso fiscale che ospita questo diavolo dei capitali che oggi, tra i pochi, ha motivo di festeggiare su quel che resta della Grecia. Ad aprile tutti i detentori di bond greci hanno dovuto accettare un taglio del valore dei titoli che avevano in mano, fatta eccezione per un manipolo di hedge fund testardi. Tra questi c’era Dart che, pochi mesi fa ha fatto incetta di titoli greci emessi a Londra sotto le leggi della City (perciò immuni dal taglio volontario degli interessi concordati a Bruxelles) a meno del 70 per cento del valore nominale.
Ma il ministero delle Finanza di Atene, nel momento di massima debolezza politica, martedì ha dovuto versare l’intero importo nominale. Insomma, i gestori di Dart hanno intascato più di 120 milioni di profitti nel giro di pochi mesi, solo l’antipasto dell’abbuffata futura: almeno 6 miliardi dei 7,6 miliardi fuori dall’accordo con la Ue sono nelle mani di Dart e dei colleghi di Elliott, di Hemisphere di Peter Grossman o degli altri vulture funds che hanno spolpato, negli ultimi 20 anni, le finanze di Congo, Ghana o Perù. Senza trascurare i vecchi debitori: due mesi fa Dart ed Elliott hanno presentato un’ingiunzione di pagamento per sequestrare i dollari dell’Argentina posteggiati presso la Federal Bank di New York. L’assalto, per ora, non è riuscito: ma Kenneth Dart non dispera.
Già, esiste un mister Dart, da 16 anni cittadino delle Cayman. L’ironia della sorte vuole che la fortuna della ditta di famiglia, aperta dal nonno nel 1937 a Mason nel Michigan, sia decollata grazie allo sforzo dei soldati americani: nonno Dart, infatti, ebbe il fiuto di mettersi a produrre per primo le targhette di riconoscimento dei soldati Usa alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Poi, nel 1960, il vero salto di qualità: il padre di Kenneth, piccolo genio della chimica, diede vita a Styrofoam, destinato a diventare uno dei colossi mondiali dei contenitori alimentari in plastica. Gli indignados di piazza Syntagma non lo sanno, ma quando bevono una Coca in bicchiere di cartone o mangiano un’insalata in una vaschetta di plastica, probabilmente pagano una royalty all’avvoltoio che tiene in scacco il fisco statunitense. Nel ’91 Kenneth decise che era l’ora di smetterla di versare soldi a Washington. Prima pensò di prendere la cittadinanza del Belize senza muoversi dalla casa di Sarasota, Florida. Ma quando il governo del Belize si fece avanti chiedendo l’apertura di un consolato guidato da un Beliziano in quel di Sarasota, non ci volle molto a capire che la sede era proprio la casa della signora Dart. La povera donna da allora si divide tra le Cayman, dove Dart ha avviato progetti urbanistici rivoluzionari, all’insegna del verde (per i miliardari ovviamente) e la villa/palazzo in Florida. Qui, nel 2005, aveva allestito una cena in favore di Bill Clinton e della sua Fondazione. Ma l’ex presidente, una volta conosciuta l’identità del principe degli evasori, sbattè la porta e se ne andò: la fuga dorata di Dart era stata una delle figuracce peggiori della sua gestione. Kenneth non se l’è presa. I suoi avvocati continuano a inseguire i suoi debitori ovunque ci sia odore di quattrini sfuggiti ai suoi crediti: a Londra, Hong Kong o New York. Con un occhio rivolto ad Atene. La diagnosi degli “avvoltoi” è lucida e spietata: la Grecia, prima o poi, dovrà fare default per la seconda volta. Allora, quando la repubblica avrà l’acqua alla gola, i “vultures” faranno di nuovo incetta di titoli che varranno poco più che carta straccia. Poi non resterà che attendere. Infine l’avvoltoio, con il bottino tra le zampe, farà rotta di nuovo verso l’isola dei Caimani.
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