La paghetta
Se qualcuno, anche solo un anno fa, avesse girato un film, una sottospecie di “Il Caimano” padano con lauree acquistate in Albania, denaro in Tanzania, discoteche “Sky Lounge”, la cartellina “The Family” e la paghetta pubblica per il sushi e per le soste sui marciapiedi dei figli ultra maggiorenni del Capo, avremmo detto: che idea pigra, quanto esageri con la sciatteria dei luoghi comuni, sei accecato dall’ideologia.
Leggi La paghetta di Benedetto Croce. Il senso per il solido degli angeli degli indigenti Saviano e Fazio
Se qualcuno, anche solo un anno fa, avesse girato un film, una sottospecie di “Il Caimano” padano con lauree acquistate in Albania, denaro in Tanzania, discoteche “Sky Lounge”, la cartellina “The Family” e la paghetta pubblica per il sushi e per le soste sui marciapiedi dei figli ultra maggiorenni del Capo, avremmo detto: che idea pigra, quanto esageri con la sciatteria dei luoghi comuni, sei accecato dall’ideologia, sta’ a vedere che adesso arriva la scena in cui il figlio si fa portare dall’autista-bancomat alle feste a Bratislava mentre il padre pensa che stia facendo l’interprete fra Silvio Berlusconi e Hillary Clinton. Poiché invece ci sono le ricevute, il diploma di laurea in Administrimit te Biznesit, le multe, gli alimenti, gli scontrini dei nasi nuovi, bisogna dedurne che la famiglia Bossi è troppo comicamente vera per essere cinematografica. Troppo scarrafona, bambocciona, troppo tribù. Molto più che negli “Sfiorati”, versione film dal romanzo di Sandro Veronesi, dove i protagonisti ventenni vivono abbastanza a scrocco dai genitori: hanno avuto tutto, non si appassionano a niente, stanno in casa in mutande, vanno alle feste, fluttuano qua e là, si baciano, hanno lo sguardo a mezz’asta, si dimenticano di andare ad appuntamenti importanti di lavoro, se ne fregano.
Lo sfiorato Trota in questi giorni è in Marocco, in vacanza, con una fidanzata e un trolley verde Lega. Doveva essere il simbolo di un’educazione padana, genere ministro degli Esteri inglese che dice ai giovani: “Basta lamentele, lavorate sodo” (la versione chic di Bossi era più o meno: calci in culo e lavorare), e invece è il simbolo della paghetta eterna, spropositata, piezz’e core, è il ritratto dell’infante che non deve nemmeno pensare a dove parcheggiare la macchina, tanto le multe le paga papà (papà, la Lega, l’Italia, per uno sfiorato è tutto uguale).
Cinquemila euro al mese per non doversi preoccupare di niente, per sistemare le cazzate, per andare all’Old Fashion con i jeans attillati. Il ministro inglese dice: prendete un aereo, andate all’estero, studiate, fate impresa, fate di più con meno risorse, che questo è il Ventunesimo secolo. Il padre di Renzo e Riccardo Bossi, l’Umberto che voleva fare la rivoluzione del nord e ha sbraitato tutta la vita contro i fannulloni ladri terroni, dice: non stancatevi, ciccini, ci penso io, anzi ci pensa lo stato, ecco i soldini, questo è il Ventunesimo secolo ed è troppo brutto per lavorare. Così la paghetta è diventata uno sportello Inps anticipato, una pensione per giovani sfiorati, e la secessione i Bossi l’hanno costruita dentro casa, strapaesana, italianissima: manca solo il musical sulla prole garantita, con qualche falso invalido che balla, un falso cieco che legge la lista dei vini e un falso giovane che prende la paghetta. Tra l’altro Riccardo Bossi non è esattamente un ragazzino, ha trentatré anni, una ex moglie, un figlio, pochi capelli, voleva andare all’“Isola dei Famosi” ma il padre ha preferito dargli la paghetta. Forse aveva paura che prendesse freddo, là tutto solo in mezzo alle zanzare, e con nessun bancomat a disposizione.
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