“Le donne” allo scrittoio di Franca Valeri, l'unico difetto è che finisce

Nicoletta Tiliacos

Ha un grave difetto, il libro appena pubblicato da Franca Valeri (“Le donne”, Einaudi, 160 pagine, 17,50 euro): finisce, mentre lo si vorrebbe inesauribile come il pozzo di San Patrizio. Si vorrebbe, insomma, che alla trentina di signore e signorine autrici di missive o biglietti ma anche di sms e mail, ascoltate per caso mentre telefonano o monologanti dalla manicure, se ne aggiungessero molte altre, colte dall’orecchio assoluto dalla Valeri nell’esercizio delle loro funzioni prevalentemente recriminatorie.

    Ha un grave difetto, il libro appena pubblicato da Franca Valeri (“Le donne”, Einaudi, 160 pagine, 17,50 euro): finisce, mentre lo si vorrebbe inesauribile come il pozzo di San Patrizio. Si vorrebbe, insomma, che alla trentina di signore e signorine autrici di missive o biglietti ma anche di sms e mail, ascoltate per caso mentre telefonano o monologanti dalla manicure, se ne aggiungessero molte altre, colte dall’orecchio assoluto dalla Valeri nell’esercizio delle loro funzioni prevalentemente recriminatorie. Ad accomunarle tutte è l’urgenza – ben temperata dalla necessità di pesare le parole, come una lettera richiede – di comunicare con amiche e amici lontani, dipendenti, superiori, mariti, amanti, figli, nipoti, sarte, cameriere. Con il signore conosciuto al mare che si vorrebbe riagganciare in città o con attori famosi, come capita alla “giovinetta impudica” che scrive a Montgomery Clift e gli dà come indirizzo per un’improbabilissima risposta: “Fermo Posta. Quartiere Africa-Roma”. Non manca il responso  dell’esperta di saper vivere: “Per le piaghe di tua suocera non preoccuparsi come dici tu è bene, ma meglio non trascurarle troppo. Bagnagliele ogni sera con una pezzuola intrisa di acqua di petunia bollente e qualche goccia di cloro”.

    Velleitarie, egotiste, perfide dolose o (peggio) inconsapevoli, invadenti o lamentose, aggressive o colpevolizzanti, tutte reclamano con carta e penna l’incondizionata attenzione altrui: di coniugi – più spesso di amanti – inadempienti, di certi signori inclini all’evasività, di figli in procinto di sottrarsi alle eroiche cure materne. “Tu sai che non mi sarebbe affatto piaciuto che tu sposassi una donna molto bella, perché tanto raramente la bellezza femminile si accompagna all’onestà, e sono così lieta di saperti avviato in questo senso a una vita serena”, scrive da Conegliano Veneto la mamma a “Veniero Moscardin. Pensione Floris. Via Mazzini. Roma”, appena tornata dalla visita fatta al figlio per conoscere la futura nuora.  

    “Le donne” di Franca Valeri sono quelle pubblicate da Longanesi nel 1960, alle quali ora se ne sono aggiunte altre. Rese, se possibile, ancor più temibili dall’uso delle nuove tecnologie. Così, per una “Dondina” che nel ’60 scrive all’amante con impazienza tirannica (“Sono fatta così, mi devi perdonare, non ne ho colpa, la mia giornata acquista un senso solo se la racconto a te… Ecco io ora sto per uscire, vado dalla modista figurati, e poi a comprarmi una borsetta figurati, forse di coccodrillo figurati, e poi i pullovers da sci per i bambini figurati, una giornata splendida per una donna, scegliere fra tanti colori, fra tante materie, e i rimorsi perché spendo troppo, l’indecisione, la gioia del pacco, se me lo mandano, se me lo porto”), c’è oggi una laconica ziasofia@ che, distrattamente, si congratula con il nipote jacopo@: “Rispondo alla tua mail, che bella idea fare la tua tesi (finalmente) sul disagio. Nel campo morale non c’è sentimento più attuale”.