E noi inermi

Il silenzio di Brindisi è come il male senza ritorno a Brescia e il boato di Ferrara

Annalena Benini

Una donna che lavora vicino alla scuola di Brindisi ha detto che quel che si sente di più, in mezzo alla strada piena di rumore, di investigatori, di lacrime e di giornalisti, è il silenzio. Un silenzio orribile, straziato, che copre le sirene della polizia e racconta la disperazione impietrita per qualcosa che non si riesce nemmeno a pensare: una mano decisa schiaccia il telecomando del massacro di ragazzine, quelle che arrivano a scuola presto e cantano con le cuffie il loro futuro sul pullman del mattino.

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    Una donna che lavora vicino alla scuola di Brindisi ha detto che quel che si sente di più, in mezzo alla strada piena di rumore, di investigatori, di lacrime e di giornalisti, è il silenzio. Un silenzio orribile, straziato, che copre le sirene della polizia e racconta la disperazione impietrita per qualcosa che non si riesce nemmeno a pensare: una mano decisa schiaccia il telecomando del massacro di ragazzine, quelle che arrivano a scuola presto e cantano con le cuffie il loro futuro sul pullman del mattino. E’ il silenzio annichilito che ci sarà adesso in via Cremona, a Brescia, dove un padre ha lanciato dalla finestra i suoi due figli, prima di lanciare se stesso: li ha ammazzati buttandoli sulle macchine parcheggiate, avevano quattro anni e quattordici mesi, si fidavano delle braccia forti del papà, ma lui credeva di soffrire troppo, di essere una vittima del male, così ha compiuto da solo il vero male, immenso e senza ritorno. L’inferno è questo, ed è silenzioso. Deposita un macigno di orrore e paura dentro ognuno di noi, un nuovo sasso di diffidenza e terrore, dice a tutti: guarda di quanto male inspiegabile siamo capaci e quanto altro ne faremo. L’inferno esiste e fa bruciare le ragazzine che vogliono diventare grandi e belle e forti e scendono dall’autobus ridendo, butta sull’asfalto i quaderni con le loro parole d’amore, l’inferno esiste e lascia annichiliti di fronte alle braccia che avevano cullato i figli per farli addormentare e adesso strappano loro la vita, perché sulla vita di un padre è sceso il buio, l’imponderabile.

    Può succedere a tutti, può succedere sempre, ogni giorno, come l’urlo che arriva dalla terra e la apre in due, e nessuno saprà mai se è finita veramente o sta per ricominciare? Anche in Emilia, appena cessano le scosse di terremoto, scende il silenzio: nonostante la gente in strada, i vigili del fuoco, i telefoni che ricominciano a suonare, il sollievo di ritrovarsi tutti insieme in una piazza e la disperazione per quelli che non rispondono più. Tra un ruggito e l’altro c’era il silenzio. E’ un silenzio diverso, a Bondeno, a S. Agostino, a Finale Emilia, a Ferrara (posti dove si sta adesso la notte con gli occhi sbarrati, in attesa), che mette in contatto con il centro della terra, con un ribollire che ci sovrasta e che sposta i muri, leva il pavimento da sotto i piedi, ricopre di macerie una bambina di cinque anni che grida aiuto e il babbo la sente e scava per farla respirare, le bagna il viso, aspetta i soccorsi, la salva. E’ il respiro sospeso di fronte all’orrore, e alla paura immane della sua replica. Si sta con l’orecchio teso, a dormire nelle macchine e ad ascoltare il boato che torna, a rassicurare i bambini e a fingere che sia un gioco.

    Si potrebbe vivere per sempre così, inermi, con un macigno sul cuore, aspettando il prossimo imponderabile, inspiegabile incubo. Viene da farlo, sembra che non ci sia nessun’altra possibilità, in quasti giorni che cominciano con mostruosità difficili da nominare, che nessuno vorrebbe dover raccontare (la madre di Melissa è ricoverata in ospedale, come può una madre salutare la figlia la mattina, che è sabato e si torna a casa per pranzo, e andare al suo funerale due giorni dopo, con la bara bianca e tutto il mondo finito per sempre per terra davanti a scuola), e i giorni poi non si placano, distruggono, tolgono il fiato, uccidono figli, lasciano operai del turno di notte sotto i capannoni crollati. Sembra che si possa avere soltanto paura, e che si riesca a sentire soltanto il silenzio annichilito. Invece bisogna coprire il silenzio di vita, di vero mondo, di futuro, di ragioni. Anche se il male irreversibile fatto a Melissa, che non c’è più, e alle sue amiche innocenti come lei aggrappate alla vita in ospedale, che non potranno dimenticare mai, troverà adesso il colpevole, il motivo ripugnante, la spiegazione mostruosa, non basterà a coprire il silenzio. Bisogna stavolta ricominciare dal dolore, dalla paura, dalla terra che trema, da quel macigno in fondo al cuore. Bisogna ricoprire il silenzio con le parole giuste, e quindi cominciare a cercarle.

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    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.